Archivio mensile:giugno 2017
Orale
… Quando apri la bocca cessò il rumore infernale…
Da sei giorni i suoi famigliari non dormivano, vicini al più esplosivo degli esaurimenti nervosi mai visto.
Al settimo giorno, mentre suo padre picchiava la testa contro il muro per svenire senza riuscirci e sua madre stava cercando di soffocarsi con la borsa di plastica della Coop, uno studioso di casi del genere (ma per lo più un vicino di casa) si presentò alla porta della famiglia sciagurata. Con delle cuffie usate dagli artificieri durante le esplosioni del Napalm per non restare sordi oltre che vivi, chiese, parole testuali, cos’era “quel cazzo di grugnito vomitevole” che proveniva dalla loro casetta di legno, che se non glielo dicevano subito avrebbe preso casualmente fuoco. Il fratello maggiore del soggetto disturbante, abbandonando per un attimo i tentativi di tagliarsi le vene con una motosega (doveva tenerla con due mani e la cosa rendeva difficile l’intento), rispose che, senza sapere come e perché, era suo fratello minore che nonostante fosse a labbra serrate emetteva quel suono terrificante e snervante. Lo studioso lo ascoltò osservando la domestica che ciondolava con una corda al collo da un lampadario che aveva evidentemente pulito per deformazione professionale prima di soddisfare il suo desiderio d’impiccarsi. Decise quindi che era il caso di occuparsi direttamente del ragazzo e chiese dove si trovasse.
“In camera sua al primo piano”, gli fu risposto. Salì le scale con la tranquillità di Armstrong quando posò per la prima volta il piede sulla Luna. Giunse alla porta in legno intarsiato (non da un bravo artigiano, ma dalle unghie dei parenti fuor di testa) e bussò. Il rumore sembrava sconquassare ogni particella lignea della casa, ma a lui gl’importava una sega, aveva le cuffie e non sentiva niente. Neanche l’”Avanti!” che disse il ragazzo, ma entrò lo stesso.
Lo guardò, incredulo. Si aspettava uno con gli occhi pieni di sangue, bava alla bocca, sudato marcio e puzzolente con il vomito dappertutto. No, stava giocando a scacchi col computer. “Bene!”, pensò e chiuse la porta dietro di sé.
Passarono due ore circa, poi d’improvviso il rumore cessò
Lo studioso scese lentamente le scale per giungere nel soggiorno dove c’era il padre, la madre e il fratello, tutti con in mano una pasticchina di cianuro, non si sa mai. Li guardò e disse loro “fate proprio schifo!”
“Il ragazzo”, continuò, “ha avuto una Reazione Orale”. I parenti inarcarono le sopracciglia non capendo una mazza di cosa diceva. “Insomma”, riprese lo studioso, “a forza di costringerlo a stare a bocca chiusa, a stare zitto per non dire cazzate, vostro figlio ha sviluppato una ghiandola orale interna che emette quel suono terribile e per non sentirlo più c’è una cura semplice: farlo parlare, farlo stare a bocca aperta”.
Infatti il ragazzo da quel momento parlò e parlò, solo nel sonno non lo faceva, ma in quel momento dormiva anche la ghiandola senza disturbare nessuno.
I genitori e suo fratello scoprirono anche quanto era bello ascoltarlo.
E tornò la tranquillità.
Riconoscenza
Ingollo l’ultimo cucchiaio di riso freddo e bevo un po’ di vino bianco annacquato, che a me piace così. Poi mi alzo e lo faccio a fatica. Speriamo non sia una ernia. La settimana scorsa ho fatto il corso di sicurezza e hanno parlato a lungo dei problemi della schiena sottoposta a sforzi. Vado in soggiorno e mi appoggio lentamente sul divano. Decido di non accendere la televisione. Chiudo gli occhi e respiro profondo. Ieri sera quando ho alzato dalla sedia a rotelle quel vecchio pesantissimo per metterlo sul letto credo che il mio scheletro si sia del tutto scollato dai muscoli per lo sforzo. In realtà non è grasso, ma per certo ha un peso specifico doppio del normale. Era la seconda volta che ci andavo. Un lavoro oggi è difficile da trovare e l’assistenza agli anziani mi è parsa estremamente interessante, ma non avevo calcolato i pesi dei corpi a babbo morto. La seconda volta che lo alzavo e già rimuginavo se farlo per la terza volta. La fitta nella parte bassa della schiena mi impediva di chinarmi bene, ma non volevo dare impressioni di debolezza e allora facevo le cose che dovevo con il sorriso. Quell’uomo mi guardava senza dire nulla. In realtà parla pochissimo, l’ictus che lo ha devastato gli ha quasi tolto la parola. I suoi parenti mi hanno detto che capisce e ricorda tutto, ma fa tantissima fatica a comunicare. Disteso sul letto gli ho tolto camiciola e mutande, facendo una fatica bestia, poi l’ho lavato con panno bagnato e successivamente rivestito. Poi ho tirato su le lenzuola e coperto, preparandolo per la notte. Sua moglie ci osservava silenziosa.
Poi un sussurro.
Mi sono girato verso il vecchio. Due occhi malinconici tradivano una grande mascolinità sconfitta dalla malattia, allo stesso tempo sembravano lì per sostituire la voce che sembrava non esserci più. Fino al sussurro. Mi sono voltato verso di lui e, accigliando gli occhi, ho fatto una smorfia di domanda.
“Grazie!”. È stato il sussurro più chiaro che abbia mai sentito. Un gesto di riconoscenza che mi ha lasciato interdetto. La sua bocca si è piegata in una stranissima smorfia, che unita agli occhi sembrava un testamento a mio favore.
Ho sorriso dicendogli che lo faccio per tutti, ma nessuno mi ha ringraziato a quel modo. Un modo che mi ha riempito cuori, polmoni, orecchi, cervello e altro che non ricordo (anatomia, la mia bestia nera).
La terza volta ci sarà e sarà un vero piacere.
Ora però chiamo la bimba a mettermi un po’ di crema antidolorifica
Un giorno chiuderò gli occhi
Accordo
Sei nel mio tempo
Sei nel mio tempo
da sempre
come incisione divina
sulla mia fronte neonata
che vedo soltanto io
quando nei giorni più scuri
mi specchio in pozzanghere
di temporali estivi
e se anche ti farai stella incandescente
a prosciugarle
tu resterai lì, nel mio tempo
per sempre
Onore
Strolago (scritto come parlo)
Ero al Luna Parche con la mi’ figliola e la mi’ moglie a spendere un lisinghe in giostre (probabilmente me le sarei potute comprare) e osservavo la fauna locale, anche perché di flora un ce n’era rimasta.
Bellini i ragazzi, tutti inchiodati ne’ giubbotti di pelle, i ginse tutti strappati, le scarpe da ginnastica che puzzavano da fa’ schifo. Bellini, ma proprio bellini!
Le bimbette le un’erano mica da meno, quindici, sedic’anni, radiose e sorridenti, ma con delle mini gonne corte come i’ cervello de’ su’ genitori, i’ pirsinghe ne’ naso, nell’ombeli’o, ne’ labbri. I congiuntivi come mistero sacro da mescolare sportivamente a’ condizionali.
E che tastate tra i du’ gruppi! Mani su’ culi e su’ seni che chi mi conosce sa che un m’hanno tranquillizza’o per nulla.
“Marco, che si po’ andare sulle montagne russe?” la mi chiede la mi’ figliola.
“Un c’ho più una lira!”
“Dai babbo, per favore…” ora tu mi chiami babbo. Allora un posso dire di no.
“Quanto gosta?”
“5 euri per uno.”
“Maremma rintronata!” ma l’esclamazione non ha effetto e sgancio i 10 euri per mamma e figlia.
Montano. Partono. Fra tre secondi vomitano.
Io intanto mi volto e che ti vedo? Uno strolago, uno che studia le stelle e prevede il futuro.
Riguardo le due bischere che l’urlano di paura e poi m’infilo nella tenda.
“Vieeeniii…”
“Dio Bòno, tu m’ha fatto paura! Accendi la luce.”
“Non posso vedere il futuro con la luce e tu vuoi vedere il futuro, vero?”
“O chi te l’ha detto? Ah, già, sennò che cazzo d’indovino tu saresti…”
“Cosa vuoi sapere?”
“Quanto tu costi e questo lo dovresti sapere…”
“Venti euri.”
“Te ne do cinque e un se ne parla più.”
“Va bene. Allora, Marco, (??? Chi glielo ha detto?) vuoi sapere della tu’ bimba… “
Aiuto, sarà meglio uscire.
“vedo, vedo, vedo una bella topina con du’ puppe così e un culo, roba da romanzi di Bucoschi.
La si fa di molto bòna, la tu’ figliola.”
Un so come prendella, la cosa.
“vedo vedo vedo un Ferrari cabrio nòvo di zecca. C’è sopra lei a fianco d’un bel figliolo, biondo, occhi azzurri, du’ metri di fisico statuario. Intelligente da fa’ senso.”
Un so come prendella, la cosa.
“vedo vedo vedo la Ferrari che si ferma a Viareggio. I due, innamora’i come du’ bischeri, s’avviano allo iocte di quarantaquattro metri che ha fatto suicida’ d’invidia Mancini l’allenatore”
Comincia a garbammi.
“Oh, unn’aveo notato una cosa: stanno sposandosi. Lo si vede dal vestito bianco e da te che tu piangi solo per l’emozione, visto che per il matrimonio ha paga’o tutto lui.”
Mi viene da lacrimare pe’ davvero.
“vedo vedo vedo tanti nipoti, tutti belli, ricchi sfonda’i ma gentili e fanno un monte di donazioni e la tu’ figliola che l’invecchia felice d’aver avuto un babbo come te.”
Lo guardo sospettoso.
“Non ci credi?”
Mi domando perché no.
“ che vedi qualche cos’altro?”
“ no.”
“Tieni dieci euri, va!”
Sorride, sapeva che avrei abboccato.
Eppure sono i dieci euri spesi meglio di stasera.
“Donneeee! – urlo – Gl’è tardi, che s’ha a tornare a casa, che un m’è rimasto un’euro?”
…
“Sempre il solito grezzo.”
“E’ vero, mamma!”
Ho riempito d’errori
Addolorato (esperimento di getto)
Di getto
(Esperimento: prendere un giornale, un libro o altro, aprire una pagina a caso e a caso scegliere una parola, che sarà il titolo di un racconto scritto di getto)
2°
Attenzione: PALLINO ROSSO (non adatto ai bambini) Racconto direi erotico.
Chi è sensibile a certe espressioni non legga!
ADDOLORATO
( da “la svastica sul sole” di Philip K. Dick, ed. Fanucci, pag. 95, riga 13, 4°parola)
Credo di aver capito che l’amore mostra le sue mille facce nei modi più inaspettati.
Fino ad un mese fa potevo considerarmi profondamente addolorato: capirete, quando si è lasciati dalla donna di cui si è innamorati dirsi addolorati potrebbe persino sembrare un eufemismo.
Ma tale ero.
Non sono un bel ragazzo, anzi, sono proprio brutto. No, il brutto ha comunque un qualcosa che lo evidenzia nella sua pur negativa apparenza. Io sono… insignificante, ecco, la parola giusta è insignificante. A volte quando sono allo specchio, non m’accorgo io stesso d’esistere. Alto un metro e sessantuno, con pochissimi capelli fin dai 14 anni e per di più corti, rossi e riccioli, leggermente obeso e gli occhiali con due lenti spesse come la mia delusione, tuffai la mia esistenza in una delle due potenzialità in cui potevo eccellere: la mia intelligenza.
Studiavo e studiavo. Mi sono diplomato e laureato con facilità e col massimo dei voti, tanto non c’era niente che mi distraeva. Ovvero, fosse dipeso da me sarei stato facilmente distolto dallo studio. Ma non mi cacava nessuno.
Come spesso succede, varie aziende hanno avuto il mio nome dalla facoltà ed hanno cercato subito di inserirmi nel loro organico. Le mie possibilità erano note da tempo e tutti volevano accaparrarsene.
Chi in modi leciti.
Chi in altri modi.
Giovanni era il responsabile del personale della ditta, che chiamerò “x” , (sapete, la privacy) che non mi era assolutamente simpatica, poiché sapevo che usava mezzi scorretti con la concorrenza.
Giovanni cercò in tutte le maniere di convincermi del contrario ma non ci riuscì. Resta il fatto che aveva una segretaria di una bellezza spropositata, proprietaria di un fisico al limite della sopportazione visiva da parte di un maschio praticante, figuratevi per me.
Giovanni se ne accorse.
Giovanni sapeva anche che la sua segretaria, Susy, era molto sensibile al lauto pagamento di straordinari particolari, atti a migliorare l’andamento aziendale.
“Ma che l’hai visto bene?” domandò Susy a Giovanni “Questo ti costa un sacco di soldi!”
“Va tranquilla, te porta il pollo che per il resto ci si trova d’accordo.”
Come faccio a sapere queste cose? Le so, le so.
Per farla breve, Susy fece finta d’essere attratta dalla mia bellezza.
Ovvio che non ci ho creduto, almeno subito, ma quando uscimmo la prima volta insieme a cena, ecco, quegli occhi, quello sguardo, m’hanno spappolato il cervello.
Cominciai a scriverle poesie, dappertutto, sui tovaglioli, sul riso alla pescatora, sull’astice, col vino rosso sulla tovaglia.
Lei mi guardava con dolcezza, anche quando il cameriere mi dette uno scapaccione chiedendo che caspita stavo facendo, imbecille che non ero altro.
Susy seguiva una strategia ormai collaudata: farmela vedere, annusare solo dopo un po’ di tempo, sempre che nel frattempo non avessi già firmato l’accordo con la ditta, nel qual caso mi sarei dovuto ritirare in un eremo a smanettarmi solitario al suo pensiero.
Ma io tenevo duro, in tutti i sensi.
Giovanni ordinò alla segretaria di darsi una smossa.
Lei, stancamente, si dette una smossa.
Quella sera mi portò direttamente a casa sua, direttamente in camera da letto e direttamente mi disse che voleva fare l’amore con me… l’amore! Disse un’altra cosa ma la sostanza non cambia.
Io rimasi sconcertato, lo fui ancor di più quando la mi s’ignudò davanti alla velocità della luce.
Evidentemente voleva fare una cosa molto rapida.
Mamma mia che corpo l’aveva, mi fece mancare il respiro, cosa che deve aver capito anche lei visto che mi slacciò la cintura ai pantaloni facendomi riprendere fiato. Poi però continuò, mi aprì la lampo, mi tirò giù i pantaloni e tornò a mancarmi il respiro. Mi tirò giù le mutande e lì, il respiro, mancò a lei.
Dovete sapere che la seconda potenzialità in cui eccello è il pene.
Grosso, sproporzionato rispetto al mio fisico deficitario.
Lei rimase lì, incredula, a bocca aperta e a dire il vero non capivo se lo era per fare una certa cosa oppure no.
Non l’ho mai misurato, né in lunghezza né in larghezza. Devo ammettere che la peculiarità di questa mia parte fisica è nella morfologia del glande, duro come la pietra in fase erettiva e di particolare conformazione: leggermente elicoidale, non liscio ma seghettato.
Susy rimase un paio di minuti imbambolata, poi, come davanti ad un idolo apparso improvvisamente ai suoi occhi, cominciò a toccarlo, carezzarlo, oserei dire adorarlo.
Mi sbatacchiò sul letto e mi possedette. “Mi” ovviamente, dato che io non feci nulla.
Urlava come un ossessa, all’inizio.
Poi l’estasi.
Almeno penso, da come strabuzzava gli occhi.
Fu lì che ebbi l’illuminazione.
Cominciai a declamare poesie sulla sua bellezza:
il tuo ansimare
è l’ossigeno
di un’esistenza
dal respiro
sofferto
Le tue parole
Sono petali
A formare corolle
Dai vivi colori
Inevitabili asili
Dei miei desideri
Dopo quattro ore, lei mi chiese “ma tu non vieni mai?”
Rimasi sorpreso e risposi “Ogni volta che tu mi chiami!” al che mi sembrò sorpresa lei.
Poi ho capito quello che intendeva, solo che, non so per quale motivo, il mio piacere, e quindi il suo, non aveva fine.
Da quel giorno la cosa si ripetè ogni sera.
Per sei mesi.
Fino a quando non arrivò Alex. Bel nome di un bellissimo ragazzo inglese.
Troppo bello e lei se ne invaghì.
“Amo un altro” mi disse Susy.
Piansi e, addolorato come un piagnone siciliano, mi misi in un angolo di casa, inconsolabile, senza voler più parlare con chicchessia.
Fino a quando il mese scorso Susy è tornata da me.
“Mi mancano tanto le tue poesie…” ( in realtà alla brava figliola mancava tantissssimo un’altra cosa N.d.A.).
Le mie poesie.
lo sapevo che lei era rimasta intontita dalle mie parole d’amore, che non poteva farne a meno.
Il senso di una vita
Prende la strada del sole
Se mi incammino
Insieme a te.
È proprio vero, a cosa serve essere belli se si è intelligenti?