Mi sono seduto al tavolo nell’angolo più buio del locale. Fuori scende la neve e sui miei pantaloni c’è ancora qualche fiocco che si scioglierà a breve.
Il cameriere arriva velocemente a chiedere cosa voglio ordinare.
“Un Kretsch…” e lui risponde “Arriva subito!”
Mi piace la professionalità di chi lavora in questo posto e resto curioso di vedere cosa mi porta, visto che era un nome di fantasia. Mi tiro un po’ su dalla sedia, dove ero pigramente scivolato troppo in basso, e raddrizzo la schiena. Mi aggiusto la giacca e mi passo le mani sulla camicia che decisamente non ho stirato al meglio. Il ferro da stiro è uno dei simboli del single che però mi si adatta poco.
Guardo verso l’entrata e la vedo. Alzo la mano per farmi trovare, ma non ce ne sarebbe stato bisogno. Sa che mi nascondo sempre in questo angolo. La vedo avvicinarsi con quell’andatura che si fa calamita degli occhi di tutti, senza differenza di sesso.
“Ciao…”
Le sorrido, sa bene che ogni suo saluto con quella voce mi lascia senza fiato e non riesco a ricambiare. Con un cenno della mano la invito a sedersi e lei, alzando leggermente la gonna che le dà sulle ginocchia, si mette sulla poltroncina alla mia destra.
Arriva il cameriere con la bevuta. “Vuoi anche tu un Kretsch?”
“Sì, grazie…” mi risponde attenta a quello che succede attorno.
“Me ne porti un altro, grazie.”
“Subito” dice impassibile il cameriere.
Mi piace questo modo di interpretare gli eventi e non parlo del cameriere, ma di Helena che berrà con me una bevanda sconosciuta al mondo intero.
Quando arriva il secondo bicchiere, ci guardiamo negli occhi e brindiamo alla salute del mondo.
Il suo vestito è nero come il liquido che stiamo sorseggiando. I lunghi capelli castani si divertono a scendere nella scollatura che sembra il viatico divino verso un seno colmo di fertile desiderio.
“Buono…” le dico commentando il Kretsch.
“Chissà che roba è…” e ride.
Non so voi, ma per quanto questo pianeta ci corroda i pensieri con il peggio che può donarci, accade sempre di osservare piccoli miracoli il cui motivo di esistere è quello di regalarci e ritornarci meraviglia.
Quelle labbra che si piegano verso l’infinito, quegli occhi che si chiudono leggermente lasciando intravedere solo il brillare di una iride scurissima, quegli zigomi translucidi che si fanno tela della gioia, ecco tutto questo e non solo è quello che sto gustandomi con gli occhi e benedico ogni “Kretsch” di questo mondo.
Parliamo un po’ di lavoro, di scarpe, di elezioni. La vedo passarsi le mani tra i capelli in maniera distratta, mentre il resto dell’universo è assai attento a quello che fa.
Io credo di essere improvvisamente dislessico, non riesco a completare una frase in maniera comprensibile.
“Scusa…” le dico, mostrandomi dispiaciuto per questa mia debolezza.
“E’ ciò che mi piace di più di te…”
Lo faccio sempre, quando sono con lei, ormai per lei è una mia caratteristica.
“… e quando smetterai vorrà dire che non ti faccio più alcun effetto, e mi spiacerà.”
Accadrà solo quando morirò, vorrei dirle, ma evito.
“Un giorno ti inviterò a casa mia…”
“Perché <<un giorno>>?” mi domanda ammiccando.
Chiamo il cameriere e gli dico una cosa in un orecchio. Helena mi guarda divertita e curiosa. Non dico altro fino a quando il cameriere non mi porta un foglietto. Lo ringrazio e lo saluto.
Sto per parlare quando lei porta l’indice al naso per dirmi di stare zitto “Aspetta… ascolta…”
Il cantante al Piano Bar ha appena intonato “Scrivimi” di Buonocore.
La ascoltiamo guardandoci a momenti negli occhi.
Alla fine, con un dolcissimo timbro vocale mi rammenta la prima pagina che le scrissi.
Mostrandole il biglietto del cameriere, le chiedo: “ti va di farsi un kretsch a casa mia?”
“Volentieri…”
Per un attimo, solo per un attimo, mi coglie il panico per l’asse da stiro lasciata in mezzo all’ingresso.