Oggi ho ascoltato al TG una madre disperata. Non sono lettore di gialli o polizieschi, ma a volte scrivo su casi che sono più un problema di coscienza che altro… stasera, ripensando a quella madre, ho scritto questo. Posto insieme gli altri due sul mio buon Commissario Cresti…
Un altro caso del commissario Cresti
Un caso che si era risolto con una facilità incredibile, o meglio che si stava risolvendo visto che ormai aveva individuato il colpevole.
Che era lì, davanti a lui, ne era certo. Aveva i capelli corti, sul rossiccio, gli occhi piccoli e disegnati da una tristezza infinita, le mani troppo rugose e dalle dita corte e tozze. Non era proprio una bellezza, ma una donna certo ferma nei propositi.
L’aveva convocata e lei si era presentata senza avvocato. L’avevano accompagnata nel suo ufficio e con una stretta di mano potente si erano scambiati i nomi.
Niente altro, da quel momento. Erano passati almeno un minuto e mezzo senza dirsi altro, una eternità. Poi Cresti decise di iniziare un interrogatorio senza avvertirla che sarebbe stato meglio per lei avere lì un legale.
“Sa perché l’ho convocata qui, Signora?”
“No. Sono qui proprio perché sono curiosa di saperlo.”
“Relativamente al caso dei 6 ragazzi morti in circostanze variamente delittuose, ho bisogno di farle alcune domande…”
“Non vedo in che modo posso aiutarla” affermò la donna che aveva lo sguardo fisso sul Cristo in croce attaccato alla parete dietro il commissario.
La brezza estiva muoveva le tende a righe bianche e verdi che eleganti adornavano le finestre ancor più antiche della mobilia dell’ufficio.
“Io invece credo che lei lo possa fare…”
Lo sguardo tra i due tornò a farsi contatto visivo. Lei ebbe un moto di sorriso.
“In che modo, commissario?”
“Per esempio, cercando di ricordare dove si trovava la sera dei sei giorni in cui sono stati uccisi i sei ragazzi.”
La donna lo guardò senza cambiare espressione. “Sapevo che si erano suicidati.”
“Le lettere lasciate dai sei sembrano raccontare questo, non fosse altro che sono state chiaramente estorte.”
“Lei crede sia così?” disse la donna mostrando una smorfia quasi impercettibile.
“Quindi mi vuol dire che ritiene quelle lettere estorte e che esiste un colpevole della loro morte.”
“Avrei dovuto conoscerla molto tempo fa…” disse la donna che iniziava ad accusare l’emozione.
“Per quale motivo?” le chiese Cresti.
“Sa, un paio di anni fa mio figlio scrisse una lettera dove confessava il suo dolore nel non accettarsi per quel che era (anche grazie alla cattiveria dei suoi compagni di classe, aggiungo io), si vedeva brutto e quegli “amici” lo sotterravano di cattiverie e insulti. Una lettera che alla fine si rivelò quello che temevo fosse: un addio. Mio figlio si suicidò gettandosi da un ponte. Nessuno, commissario, ha pensato, come ha fatto lei adesso, che quella lettera fosse stata in realtà estorta e che mio figlio fosse stato assassinato da quei maledetti bulli. Da allora io ho chiuso le porte al mondo e mi sono esiliata nel nulla in attesa di morire, quando Nostro Signore lo vorrà…”
Cresti rimase un attimo in silenzio, poi insisté: “ Risponda alla mia domanda: dove si trovava le sere della morte di quei ragazzi?”
“Dovrà chiederlo davanti al mio avvocato.”
Il Commissario Cresti sapeva bene che la donna non aveva scampo e le disse “Va bene, lo contatterò.”
“Sa una cosa, commissario? Qualunque cosa succeda adesso, il mio esilio resta tale.”
La donna lo salutò e uscì dall’ufficio.
La vendetta è una brutta bestia, pensò Cresti mentre guardava dalla finestra al secondo piano la signora raggiungere un uomo in carrozzina e con lui avviarsi verso il lungo fiume.
Il tardo pomeriggio iniziava a allungare le ombre mentre un tramonto di tonalità rosso/arancio dipingeva l’universo. Cresti decise che era l’ora di tornare a casa. Si mise la giacca e si avviò per uscire.
Si trovò a passare davanti al piccolo specchio che si trovava nel suo ufficio e guardandosi si fece mille domande sull’evidente assenza di bellezza.
Un caso del commissario Cresti
Quando fu chiamato in portineria dall’appuntato Sardelli, il commissario Cresti si scusò col suo ospite.
“Abbia pazienza, torno fra un attimo”.
L’uomo, rimasto solo, cominciò a guardarsi attorno.
Era un ufficio modesto, la mobilia era vecchia e di qualità scadente. La foto di rito del Presidente della Repubblica, una scrivania zeppa di fogli e un computer obsoleto, un quadretto che vedeva dal retro e che probabilmente riportava la foto di qualche famigliare.
Anche l’odore sapeva di stantio.
La porta si riaprì all’improvviso.
“Mi scusi di nuovo – esclamò il commissario Cresti – Allora veniamo a noi. Ho chiesto di non essere disturbati così potrò parlare con lei tranquillamente e liberarla velocemente”.
“Non c’è alcun problema”. La voce dell’uomo era serena e dimostrava tutta la sua disponibilità.
“ Allora, signor Verdi, io l’ho chiamata perché stiamo conducendo una inchiesta molto importante. So benissimo la disgrazia che le è capitata e la cosa mi crea molto imbarazzo. Ma sono sicuro che lei capirà i motivi per i quali mi sono permesso di disturbarla”.
Cresti si fermò un attimo, lo faceva sempre. Cercava di valutare le reazioni.
L’ uomo non fece una piega, “Mi dica”.
“Il killer delle scuole. Ventuno vittime in sei mesi, in varie parti d’Italia. Conosce la vicenda?… Vedo che annuisce. Ci sono vari commissariati impegnati in queste indagini e solo da poco abbiamo capito che si tratta della solita persona.”
“Davvero?” fece sorpreso l’uomo.
“Ne siamo certi. Anche se per un po’ è riuscito a sviare le nostre indagini usando vari metodi per uccidere le sue vittime, non poteva però evitare che io arrivassi a collegare il fatto che erano tutti spacciatori.”
Il Verdi si fece scuro in volto.
Per un attimo rivide la sua Laura.
“ Ed io come posso aiutarla?” chiese a Cresti.
“Se devo esserle onesto, non lo so neppure io. È che ho pensato potesse essere d’aiuto parlare con persone che hanno avuto esperienze come la sua.”
“Mi permetta, in che modo?”
“Vede, io sono quasi certo che il killer agisca a pagamento, dietro la richiesta di qualcuno che ha subito una perdita terribile a causa della droga. Oppure che il killer sia proprio quel qualcuno.
Ma ho bisogno di parlare con persone come lei per capire quanto sia grande il dolore e se esso può spingere a questi gesti.”
Roberto Verdi guardò Cresti con l’espressione di un uomo stanco.
“Posso vedere il portafoto che ha sulla scrivania?”
“Certo” il commissario glielo porse.
L’uomo sorrise, un sorriso delicato.
“Lei ha un bellissimo bambino. Lo porta lei a scuola la mattina?”
“Sì” Cresti sapeva già dove voleva arrivare. Quello che non sapeva è che l’altro si sarebbe alzato e preso per un braccio gli avrebbe detto “Andiamo fuori a prendere una boccata d’aria”.
Uscirono dal commissariato. Subito fuori c’era un piccolo parco con delle panchine.
Ci sono i tigli, senta che profumo intenso.
Sa che mia figlia negli ultimi tempi non sentiva più nessun profumo?
È strano come nella nostra esistenza ci figuriamo il nostro futuro, pieno di speranze e di paure, e di quanto poi quello che avviene davvero sia così diverso. Io non mi sarei mai aspettato di vedere la vita di mia figlia lentamente cancellata da quella gomma che è la droga.”
Cresti ascoltava in silenzio.
“Non importa che le dica quanto amassi mia figlia, anche lei è un padre. Quando chiuse gli occhi per sempre si è spento anche il mio mondo. Sto camminando nel buio, cieco di dolore.
Aveva quattordici anni quando fu avvicinata la prima volta. Era una bambina. Una bambina. Senza poter mai diventare una donna.
Io non comprendo, non potrò mai comprendere .
Ma sono uomo che ha sempre affrontato i problemi cercando di risolverli, anche quelli senza soluzione.”
Il commissario sentiva che si avvicinava l’epilogo.
“Lei è molto bravo, commissario, la conosco e ha confermato le mie sensazioni. Ma lei fa parte di quel sistema che ha ucciso la mia bambina. Quel sistema che parla molto e poco fa per sconfiggere il male. Fondato su collusioni e ipocrisie.
La droga nelle scuole è cosa di tutti i giorni, i ragazzi sono indifesi mentre gente come lei cerca il killer degli spacciatori. E finisce che lo annusa, lo riconosce e lo trova. Ma non le prove. Perché, vede, se gli spacciatori muoiono la droga da sola non si smercia nelle scuole. Semplice, vero? Eppure lei non immagina quanti genitori sperano nel suo insuccesso, caro Cresti. Forse, che classe fa suo figlio?, dovrebbe sperarlo anche lei. Ed ora, se non ha altro da chiedermi, visto che le ho raccontato la mia terribile esperienza, dovrei tornare al lavoro.”
“L’ultimo assassinato aveva solo diciotto anni…”
“Lo so, era un amico – tremò a dire “amico” – di mia figlia”.
Cresti lo vide allontanarsi e sparire dietro un palazzo.
Il suo fiuto non lo aveva tradito.
Era giunto il momento di cercare le prove, ma sentiva che nessuno lo avrebbe aiutato ad incastrare quell’uomo.
(Un caso del Commissario Cresti)
L’uomo lo vide arrivare, ma non ne fu sorpreso.
Sapeva che prima o poi sarebbe giunto a lui, sapeva da tempo che era sulle sue tracce. Sapeva anche di aver commesso degli errori, ma erano errori in fin dei conti inevitabili e quindi non poteva sentirsi in colpa verso se stesso.
Quando il commissario Cresti del gruppo Investigazioni Internazionali lo avvicinò, l’uomo gli sorrise e gli porse la mano.
“Salve, sono il commissario Cresti, lei è il signor Padovani?”
“Mi dispiace disturbarla, ma sto seguendo un inchiesta su di un traffico internazionale di bambini, una faccenda molto delicata come lei può ben capire. Avrei bisogno di farle alcune domande…”
Da un orfanotrofio rumeno erano spariti 17 bambini di età compresa fra i due e i sette anni. Un fatto che aveva preoccupato il governo di quel paese e molte associazioni di protezione dell’infanzia.
Il mercato degli organi era il sospetto più terribile.
L’uomo ascoltava senza emettere parole o fare espressioni di sorta, ma quando il commissario stava per fargli la prima domanda lo prese per un braccio e sorridendo lo accompagnò all’interno della sua casa.
Questa era una solitaria, vecchia ed enorme colonica completamente ristrutturata e all’interno era un vero e proprio spettacolo: decine di stanze tutte verniciate con delicatissimi colori pastello, splendide camerine per bambini zeppe di giochi ed, in una stanza più grande, una attrezzatissima ludoteca.
“Qualche anno fa, raccontò Padovani, io e mia moglie decidemmo di fare un bel giro in auto che toccasse vari paesi dell’Est, tra cui l’Ungheria, la Romania, la Russia e la Polonia. Non sto a raccontarle altro se non che arrivati a Bucarest avemmo la fortuna (direi proprio così, fortuna) di visitare un orfanotrofio.
Una delle cose più terribili che abbia mai visto in vita mia. Sono, anzi, siamo stati così male da voler tornare subito a casa. Ma io sono un essere strano, sa? Ho voluto informarmi ed ho saputo di quanto sia schifoso il mercato delle adozioni, di quanti soldi vengano fatti sulla pelle di quei poveri innocenti. Allora, io che vendo auto, ma le compro anche, sono andato in Romania con due bisarche ed ho comprato 17 auto usate che ho portato qui in Italia, solo che in ogni bauliera di quelle auto avevo nascosto un bambino. Sì, li ho rapiti io e lei lo sa bene, è inutile nascondersi. Ma io non potevo sopportare quella situazione, non potevo permettermi di non fare qualcosa. Hanno sofferto un po’ per il viaggio, ma ora stanno bene e in salute. Per evitare che li scoprano li faccio studiare in privato… Ah, eccoli…”
Un piccolo bus si fermò davanti al cancello della colonica. Un gruppo di bambini chiaramente sereni e gioiosi corsero lungo il vialetto fino all’uomo che allargando le braccia li salutò uno ad uno.
“Questi bambini sono felici. Lei sa anche cosa li aspetta se tornano nel suo paese.
Sta a lei decidere, sono a sua disposizione.”
Il commissario era l’unico a conoscere la verità e aveva molti dubbi su quali decisioni prendere.
L’unica cosa certa è che quella notte non avrebbe dormito.