IL MERCENARIO

Lo chiamavano il Mercenario e lo facevano con tono offensivo, ma lui non se ne curava.

Giocava al calcio come un dio, così dicevano gli esperti, aveva una specie di simbiosi mistica tra il suo corpo e la sfera di cuoio (o almeno di un materiale che gli somigliava). Ogni tocco, ogni lancio, ogni arresto al volo aveva dentro lo spettacolo della perfezione e rendeva increduli spettatori ormai abituati all’umano errare anche e soprattutto in quello sport che da molto tempo aveva la pretesa di mettere in contatto popoli con l’intento di unirli nel segno del divertimento.

Il Mercenario giocava per una delle squadre minori del campionato maggiore, tanto da sembrare un gioco di parole. Avrebbe potuto chiedere e ottenere molto di più del suo comunque lauto stipendio, ma non sembrava interessargli granché. Si direbbe una grande contraddizione col nomignolo affibbiato, se non fosse che esso trae origine da altro fatto.

La nazionale di calcio, appena comprese le enormi potenzialità che lui poteva donarle, lo convocò per una amichevole, come si dice, di lusso contro l’Inghilterra. Lui non fece una piega e si presentò allo stadio Wembley tutto bellino e ordinato insieme ai suoi compagni. Sorridente si dispose in linea con gli altri per ascoltare l’inno nazionale e qui avvenne il fatto. Tutti con la mano sul cuore a cantare l’inno, escluso uno: lui.

Se ne badava bene, disse dopo la partita e tre gol strepitosi.

Non ci penso nemmeno, aggiunse, non gioco per la bandiera.

Tutti gli inviati rimasero a bocca aperta, ma passato l’attimo di sconcerto cominciarono a trasmettere via mail alle proprie redazioni l’incredibile e gustosa notizia e i telegiornali dedicarono lunghi servizi all’avvenimento.

Perché, si domandavano tutti? Perché faceva così?

Ma a parte la domanda, tutti lo giudicarono e lo etichettarono come il Mercenario.

Ogni anima pulita della nazione italiana si preoccupò di questo insano comportamento.

Milioni di messaggi, domande, accuse, richieste arrivarono a lui tramite tutti i media esistenti.

Un po’ restò in silenzio, poi decise che lo stavano davvero scocciando.

Organizzò una conferenza stampa non ad una televisione nazionale, ma alla televisioncina locale delle suore della Madonna del Carmelo. Chi voleva partecipare, doveva dare una cifra dai 1.000 ai 100.000 euro in base all’importanza delle testate rappresentate. Con i 500.00 euro che furono raccolti non potete neppure avere un’idea di quanti sciagurati le piccole suore hanno potuto aiutare.

E in fin dei conti per niente di eccezionale.

Infatti, non furono fatte domande.

Il Mercenario, colui che gioca solo per i soldi e non per la bandiera, fu l’unico a parlare. Fece un brevissimo monologo, riportato qui integralmente, dopo di che si alzò e se ne andò senza dare possibilità di una replica.

Il Mercenario disse:

“Non dovreste chiamarmi il Mercenario ma l’Utopico, poiché ho visione troppo diversa dalla vostra e certamente inattuabile. Ma a voi che parlate continuamente di patriottismo, di nazione, di bandiere, di unità nazionale e ne fate una battaglia etica, come se chi non segue queste idee fosse uomo pericoloso, a voi, dicevo, non posso che rispondere che siete coloro che predicano la guerra, la sopraffazione, lo sfruttamento, la povertà degli altri. Dovreste impegnarvi a trovare il modo di unire il mondo, di togliere confini disegnati non da Dio, ma dall’uomo, di bruciare bandiere che rendono temuti i colori che Natura ha invece creato per amore.

Mi domandate perché non canto l’inno? Perché lo farò quando ne rimarrà solo uno per tutti gli uomini di questa Terra.

Adoro giocare, qualcuno mi ha fatto questo dono di qualità che sento di dover condividere col mondo e per questo gioco e sono disponibile per chi mi chiama. Ma non chiedetemi di cantare alcun inno nazionale. Anzi da oggi chi mi vorrà dovrà sentire ancora parole come queste, altrimenti resto a casa per la pace di ognuno.”

Tra l’ira e la sorpresa dei giornalisti si alzò e se ne andò.

Oggi inizia il Mondiale 2026 e la nazionale, grazie a lui, è tra le favorite. Nonostante tutto, il Mercenario è meglio averlo che no e sebbene all’inizio della partita si presenti con una maglietta con la scritta “erase borders”, il tutto viene ritenuto un piccolo evento noioso ma superabile (dalla vittoria finale).

Sembra certo che lo spettacolo più seguito saranno le numerose e attesissime interviste al Mercenario.

senza titolo

Ci sono giorni che piegano la mia schiena,

la testa tra le gambe e le mani sulle orecchie

per non ascoltare più il mondo che urla.

Tutto tace e tutto scompare dalla vista

sono il naufrago incredulo del suo destino

sulla spiaggia virginea di un’isola sperduta

lontano da tutto e da tutti, o forse no!

Nelle notti di plenilunio come questa

le ombre leggere sulla sabbia cambiano,

prendono la tua forma e con le dita

ne percorro il profilo disegnandoti.

In piedi, osservo la tua figura

compagna fissa dei miei pensieri.

Quando muore il mio interesse al vero

ti fai presenza costante nel mio cuore

nella mia testa, nelle mie viscere,

nella mia voce, nei miei gesti.

E io torno a raddrizzare la schiena

Smemorato

Si guardava intorno e non capiva. Quello che lo circondava sembrava non avere un senso per lui, non riusciva a collegare ciò che si presentava ai suoi occhi a un senso di realtà effettiva. Un’altra persona, oggettivamente avrebbe avuto meno dubbi su dare un quadro esatto della situazione, ma per lui non era così.

Marco si mise a sedere su di un muretto polveroso ad ascoltare il soffio di un vento primaverile, unico suono presente in quel luogo. Sorrideva come se avesse compreso il lessico di questo movimento d’aria e ne valutasse la bellezza. Piccoli vortici di polvere sembravano dar forma a entità fantastiche pronte a fargli compagnia.

Marco si guardò le mani antiche. Davvero non se le ricordava a quel modo, un numero infinito di piccoli solchi profondi su cui, per altri ma non per lui, si leggevano decenni di lavoro.

Si alzò faticosamente dal muretto deciso di tornare a casa. Solo che… alzando gli occhi osservò una serie di palazzi che non erano casa sua, che chissà dove si trovava. Aspetta, pensò tra sé, è… è… è a sinistra, sì a sinistra!

Si avviò deciso a sinistra, camminando più rapido che poteva, ma le gambe e i polmoni ormai consumati a fondo gli rendevano il passo lento. Ogni tanto si appoggiava a un muro, riprendeva fiato e poi ripartiva. Fino a quando si fermò davanti a uno spiazzo vuoto.

Era certo che casa sua fosse lì, ma non c’era. Non c’era. E se non c’era doveva essere da qualche altra parte. Eppure il Bar Tre Stelle è lì. Quindi, dov’era casa sua?

Si rese conto che quello spazio non era davvero vuoto, ma c’era un enorme cumulo di detriti. Chissà che cos’era successo? Marco non ricordava niente, come se ogni secondo vissuto, fosse inizio e fine della sua esistenza. Non c’era niente prima e non c’era niente dopo. Sentì il morso della fame e gli venne di urlare “Grazia!!! Ho fame”, ma Grazia non c’era e chissà chi era Grazia. Senza paura decise di bussare alla prima porta di un palazzo alla sua destra. La fame lo rendeva coraggioso, ma nessuno rispose. La porta era chiusa, ma alla destra un enorme buco sul muro gli permise di entrare nell’appartamento. Con difficoltà, passando tra calcinacci e vetri, arrivò a quella che sembrava una cucina, con tanto di frigorifero e madia. In quest’ultima trovo del pane secco che Marco mangiò lentamente usando tutta la saliva che poteva per ammorbidirlo. Finito il pane decise di uscire e lo fece scansando dei corpi in posizioni innaturali e devastati. Cos’era successo? Si chiese Marco varie volte, ma poi smise di farlo quando tornò sulla strada, dimenticando quanto appena visto.

Camminò per molto tempo, come perso in un labirinto cercando l’uscita. Alla fine si trovò nella parte alta della città.

Ma che città è? Si chiese.

Che città era stata, sarebbe stata la domanda giusta.

Rasa al suolo non aveva più un nome, come non lo avevano più i suoi cittadini.

Escluso Marco, unico sopravvissuto, a cui la demenza senile regalava l’unico modo di sopportare i terribili dolori di una guerra insensata.

Il sole era gradevole e Marco si sedette appoggiato al tronco dell’unico albero rimasto in piedi.

Sorrise soddisfatto e si addormentò.

Solo poche parole

Solo poche parole

prima che gli occhi

si facciano notte.

Una lama affilata

radente l’addome,

ecco il mio premio.

Non temo dolore

o pianti incerti

se non i tuoi

che non sopporto.

Ci sono i giorni

d’improvvise confessioni,

rivelazioni che donano

un senso smarrito

a credenze che pensavo

indiscutibili.

Sono imperfetto

me lo sveli con i tuoi sguardi

severi rimproveri

alla convinzione inutile

di averti cresciuta bene.

La terra trema

il cielo si oscura

e l’aria si fa pesante

cercavo il sole inutilmente

il solo che può salvarci

salvarmi

salvarti

credevo

mentre invece bastava

una carezza.

Schiena

Cercavo la perfezione

perdendo tempo prezioso.

Lì davanti ai miei occhi

si stendeva la piana del desiderio

in quella sommatoria di curve

che provoca la perdita della vista

e non è dolore o disperazione.

Non serve più guardare

quando la carne si fa profumo

e plasma gli istinti in uno solo.

Le mani chiedono permesso,

concesso,

parlano alla pelle nella lingua

dei brividi e della calda saliva,

i pori emettono respiro affannoso

mentre i muscoli si tendono

nello sforzo del piacere inatteso.

Non c’è parola nel frattempo,

il silenzio è spettatore rispettoso

e il mio viso, quando si poggia

sul fondo della schiena, perfetta

come quelle decantate dal Canova,

ringrazia il proprio destino

C’è silenzio dentro di me

C’è silenzio dentro di me

la bocca cucita al passaggio

delle mie timide parole

rende orfano il tempo.

Sono stanco dell’inutilità

che regna tra le pieghe

purulenti di giorni vuoti

fatti di desideri indotti.

Non è poi così lontana

la morte

che io temo e a cui

non potrò sfuggire.

Alzo gli occhi alla ricerca

di un’ancora che mi leghi

all’approdo salvifico.

Lì imparerò a pensare all’oggi

come se il giorno a seguire

non avesse certezze.

Non avrò traguardi

no, nessun punto d’arrivo

poiché ciò che termina

mi terrorizza, mentre io

desidero star bene.

Gli anni si fanno grevi

sulle mie spalle piegate

eppur nutrono i pensieri

fino a svelare il divino e

se mi sentite silenzioso

o dallo sguardo assente

ricordate che sto vivendo.