Raccolgo le mie carabattole
dentro un sacco di plastica
me lo appoggio sulla schiena
e parto a capo chino verso
dove non so.
Prego facendo un passo
bestemmio a quello successivo
col cuore fratturato in parti uguali,
la voce rotta dall’incapacità
di essere quel dio che vorrei,
respiro da un naso che non sa
più riconoscere l’odore dei fiori.
A cosa servo?
è la domanda
che ronza tra i neuroni superstiti
di una mente in cerca d’autore,
a cosa servo se ogni mio gesto si perde
tra le onde di una marea umana?
Senza rispondermi, vado oltre,
cammino sul sentiero impervio
di un tempo privo di lancette
che non sembra mai finire.
Troppo timido per guardare il cielo
ascolto le note del vento, si scrivono
sul pentagramma della mia pelle
per essere lette nella notte
priva di stelle.
E’ trasparente il sacco che porto
e se gli altri ne vedono il contenuto
io ormai ne ho perso memoria,
cambia nei colori, forme e emozione
tra lacrime e risate incontrollate.
Strano ch’io chiami meta
ciò che raggiungerò alla fine
di questo sconosciuto errare,
dove svuotare il peso sulle mie spalle
e disperderlo nell’ultima tempesta.