In effetti, quando guardo il mio garage, vedo tutto fuorché un garage. Sei metri per quattro, completamente isolato per l’acustica, strapieno di cavi, monitor, mixer, microfoni, lampade, telecamere e schermi maxi. Il mio studio privato di registrazione e trasmissione. Musica a tutto volume senza rompere i coglioni a nessuno. Me lo sono creato per quando voglio restare da solo e suonare o scrivere musica lontano dal mondo. Almeno fino a quando non troverò una casa in campagna come piace a me. Per ora condominio e voglia di stare alle regole, sempre condominiali.
Premo il pulsante del telecomando e il portone del garage, spesso come fosse quello di un bunker antiatomico, si apre faticosamente e in effetti devo ricordarmi che forse dovrei potenziare il piccolo motore. Nato per alzare qualcosa di molto più leggero, uno di questi giorni mi lascia chiuso dentro facendomi morire di fame e di sete.
Esco e saluto Carmine e Ciro, i due pestiferi adolescenti che non aspettano altro che esca dal mio studio per salutarmi. “Uè guaglio’, si nu fenomeno!” urla uno dei due abbracciandomi attorno al collo come fossi suo padre tornato dalla guerra. “Grazie…” rispondo semi-soffocato. “Ma per favore, state a almeno a un metro o chiamo i carabinieri!” alla quale parola i due si allontanano con occhi preoccupati e non credo dal virus. Il loro padre, che non so cosa faccia nella vita, vive in uno degli appartamenti di questa palazzina e da certe reazioni mi sono fatto una mezza idea. “Sciocco…” mi dice sempre mia madre, “non giudicare se non sai!”
Salgo al terzo e ultimo piano. Apro la porta e entro nel soggiorno illuminato. In cucina prendo un bicchiere, ci metto un po’ di grappa barricata e la bevo lentamente. Vibra il cellulare, è mia madre. “Ciao, Andrea. Sei stato proprio bravo stasera, te lo volevo dire.”
“Mamma, per te sono sempre bravo. Comunque grazie per la telefonata. Buonanotte!”
“Buonanotte a te e ricorda di portare la plastica giù che domattina c’è la raccolta differenziata.”
“Hai ragione, con questo State tutti a casa, non ci pensavo proprio.”
Stacco la telefonata e mi guardo intorno. C’è un gran bel disordine, ma mi piace tanto che questo appartamento sia come me. Poi esco in terrazzo, prendo il sacco blu della plastica, le chiavi di casa e vado fuori. Scendo le scale e esco dal portone principale. Accidenti, ha cominciato a piovigginare, proprio adesso. Alzo gli occhi al cielo, nonostante il buio si vede il grigio scuro delle nubi gonfie di pioggia che stanno per vomitare su questo condominio tutta l’acqua del pianeta. Di corsa, faccio il breve viale che porta al cancello esterno che si trova sotto una pensilina insieme al citofono. Mi ci fermo ansimante, chiaro che non sono più in forma come qualche anno fa. Il luogo di raccolta della plastica è a destra, ma prima di avviarmi mi blocco davanti alla fila dei campanelli, quattro a destra e quattro a sinistra. Il mio è in alto a destra. In basso a sinistra quello di Alessandra. Mi giro indietro a guardare le finestre del suo appartamento, chiuse, quasi sigillate con un bel biglietto “vendesi”. Quando la settimana scorsa le ho viste a quel modo ci sono rimasto sorpreso… diciamo pure male. Non so dove siano andati, lei e la sua famiglia, ma per me è stata una perdita, mi è venuto quasi a mancare il respiro. Alessandra è una ragazza bellissima, dolce, sensibile. Io avrei voluto farle la corte, ma a differenza di quanto appaia, sono un timido inguaribile. Non sono riuscito che a cantarle le mie canzoni, senza dirle niente di più.
Riguardo il campanello. Mi coglie una malinconia che non so descrivere e mi prende un bisogno improvviso. Lascio il sacco di plastica al cancellino e torno in casa. Scendo con la chitarra in mano e torno sotto la pensilina, con la pioggia che è aumentata di intensità. Con “Iorestoacasa” e con questo tempo, è ancor più facile non capiti gente. Nessuno in vista, neppure sui terrazzi.
Il fatto è che con questo obbligo di quarantena, mi sono inventato i concerti da casa. Quelli che faccio normalmente nei teatri , li faccio in garage, in solitario e in diretta streaming a 2 euro. Non lo credevo, ma sono davvero tanti quelli che partecipano. Poco fa ho finito l’ultimo, sono ancora caldo e ho pensato che se le riservo qualcosa solo per lei ne sarebbe felice, quasi quanto me di farlo.
Sotto la pensilina, ho suonato il campanello di Alessandra. Poi ho indossato la chitarra e le ho cantato “Dov’è che sei andata”, l’ultima mia composizione. Mi è venuta anche meglio di sempre. Lo so che nessuno mi avrebbe applaudito e che lei non ascoltava, ma in certi momenti abbiamo comportamenti poco razionali. Terminata la canzone, mi sono tolto la chitarra dalle spalle, l’ho poggiata a terra e sono corso a mettere il sacco della plastica nella zona di raccolta. Sempre di corsa sono tornato a riprendere la chitarra e ho fatto per tornare in casa quando ho sentito da citofono: “E’ bellissima, grazie!”.
Mi sono bloccato come un deficiente. Forse era in casa e non l’ho vista? Le finestre sembrano ancor più chiuse di prima, nessuna luce. Tremo, ma suono il campanello. Nessuna risposta. Eppure ho sentito la sua voce. Respiro velocemente, poi alzo lo sguardo al piano di sopra di Alessandra e vedo Ciro e Carmine insieme alla loro sorella sganasciarsi dal ridere. Nella pazzia del momento devo aver sbagliato campanello.
Riguardo i tre e li saluto.
Torno al citofono, suono a Alessandra e dico: “Aspetterò che termini questa emergenza, poi vengo a cercarti” e mi avvio a casa.
A metà del vialetto sento un flebile “Ti aspetto” e mi accorgo solo adesso che non piove più.