Sono seduto a terra in questa maledettissima stanza in penombra in cui mi sono ritrovato dopo il risveglio, circa tre ore fa, credo, visto che non ho più il mio orologio. Non so come ho fatto a ritrovarmi qui, non ricordo niente. Non ci sono mobili, anche i muri sono spogli di quadri o altri addobbi. Non ci sono né lampade, né interruttori per accenderle. Vedo solo uno spiraglio di luce provenire dal basso davanti a me, ma non ci sono porte.
Urlo, prendo a pugni la parete, ma nessuna risposta e sì che vedo passare ombre.
Non capisco, è come se fossi stato rapito senza che io me ne fossi accorto.
Ma da chi? E perché?
Mentre il tempo passa, mi torna qualche barlume di memoria.
Ero sul divano davanti alla televisione e mi sono appisolato.
Forse forse qualcuno con uno spray mi ha narcotizzato. Ecco, forse è proprio così.
Non so. E’ tutto così pazzesco e incomprensibile.
Vedo un’altra ombra dallo spiraglio, sta passando qualcuno: “Ehi, aiuto! Dove sono? Dove sonoooo???”
Niente. Ma cosa sta succedendo?
Un attimo! Si sta aprendo una parete, quella dove vedevo in basso lo spiraglio.
Dio, che luce!
Non importa, qualunque cosa ci sia là fuori, devo uscire da questa stanza, finché sono in tempo. Mi alzo, corro e sono fuori. Un corridoio lunghissimo, non vedo la fine, ma potrebbe essere dovuto a questa luce intensa.
E non sono solo.
Per la miseria quanta gente. Decine di persone che camminano silenziose. Ma… io li conosco, li conosco tutti!
Quello è Sandro, andavamo alle elementari insieme, ed è piccolo come allora. E quella è Sonia, il mio primo amore ed è bellissima, come il primo giorno che la incontrai.
“Ehi, Sandro! Sandro!” Sembra che non mi senta. “Sonia!” Anche lei passa oltre senza guardarmi. Ma cosa sta succedendo?
Ma quello è mio nonno Roberto… ma allora sono morto, non può essere altrimenti. O forse in coma. Ecco, sì, sono entrato in coma e tutto questo ne è il risultato, non può essere altrimenti.
Mio Dio, ma quello è Marco e laggiù, lontana, Lorenza. Due miei amici morti, quanto ho pianto per loro.
L’unico che non mi sembra di conoscere è quell’uomo. Perché sorride? E lo sta facendo verso di me.
“Tu… mi senti?” chiedo.
“Certo.” Ha una voce dolcissima ma scanzonata. E’ un uomo sulla quarantina, di carnagione scura, alto, robusto, dai lineamenti delicati e dagli occhi magnetici, vestito in maniera elegante. Un essere che trova certo apprezzamento nel pubblico femminile.
“Chi sei? Dove sono?”
“Hai solo queste domande?”
Sono confuso e inquieto e le domande sulle domande mi fanno arrabbiare.
“Perché? Che altre domande dovrei fare?”
“Beh, mi aspettavo molti più dubbi da parte tua. In ogni caso ti trovi in un luogo a te sconosciuto. Per quanto riguarda chi io sia, è un po’ difficile spiegarlo. Parliamo un po’, vedrai che capirai chi sono.”
Lo guardo, la mia espressione è certamente sospettosa, poi mi guardo attorno: è tutto luce, potente, ma non si vede da dove arriva.
“Di cosa dovremmo parlare? Sei tu che mi hai rapito?”
Adesso non sorride ma ride, proprio di gusto.
“Non ti ho rapito, non ne ho bisogno.”
Non lo comprendo e mi fa paura, tanta paura.
“Che cosa ti ho fatto? Che cosa mi vuoi fare?”
“Niente, non mi hai fatto niente. Ho solo un dubbio e tu mi sarai utile a risolverlo.”
Resto in silenzio. Non so più cosa pensare e la situazione mi rende muto.
“Hai fantasia?”
Ascolto la sua domanda ma non riesco a rispondere, ho timore di quello a cui vuole andare a parare.
“Hai fantasia?” Ripete e sembra paziente.
“Sì.”
“Molta?”
“Credo. Chi mi conosce dice che è una delle mie qualità.”
“Ne hai molta, te lo confermo anche io. Per questo sei qui.”
Lo osservo, il suo viso, a differenza del mio, non tradisce emozioni. Sorride ancora. Forse riesce a leggermi nel pensiero.
“Adesso ti rivelo una verità per te sconvolgente.”
Ecco la frase ad effetto.
“Io sono il tuo dio, il tuo creatore.”
Mi sento svenire. Sono in mano ad un pazzo.
“Non sono ciò che pensi, non sono un pazzo.”
(Ecco, mi conferma ciò che avevo intuito, mi legge nel pensiero)
“Sono veramente il tuo creatore.”
“Scusa, ma non ho la possibilità di comprendere i tuoi discorsi. Non sto ragionando, sono terrorizzato.”
“Ascoltami attentamente: tu, i tuoi figli, i tuoi parenti, la tua casa, il tuo mondo, il tuo passato, il tuo futuro, siete una creazione dei miei pensieri. Siete il mio spettacolo, la mia storia inventata, il mio teatro, il mio film.”
Non capisco. La mia è muta incomprensione
“Siete il mio gioco di ruolo.”
Ho paura.
“Io e i miei simili siamo in grado di dare forma ai nostri pensieri e di metterli a disposizione degli altri. Molto tempo fa abbiamo deciso di organizzare una gara: abbiamo creato l’Universo che conosci e ognuno di noi doveva creare un suo mondo, con i suoi personaggi e i suoi luoghi. Questi mondi sono disponibili alla visione di ognuno di noi e quello che sarà votato come il più interessante vincerà il Premio Finale. Io ho creato la Terra, i suoi esseri viventi più o meno intelligenti e ho sviluppato situazioni e comportamenti in un gioco di ruolo (come lo chiamate voi) così straordinario da essere ritenuto forse il più appassionante di tutti. Seguito con grande passione dagli altri miei simili.”
Non riesco a crederci.
“Ci puoi credere, è così.”
“Ma tutte quelle persone che conosco e che ho visto qui, alcune ancora vive, altre morte da tempo… come me le spieghi?”
“Sono ologrammi dei tuoi ricordi. Qui prendono forma in presenza del proprietario della memoria.”
“Io… a cosa… ti servo?”
“Una delle regole è che ognuno di noi può intervenire sullo svolgersi del gioco solo due volte dopo la creazione, pena l’esclusione. Sono già intervenuto una volta, circa duemila dei tuoi anni fa. Purtroppo il gioco ha di nuovo preso una piega sbagliata. Se va avanti così finisce molto presto, probabilmente ho valutato male il comportamento umano. E rischio di perdere il Premio Finale.”
Lo guardo incerto.
“La vostra specie sta per rendere la Terra inabitata e inabitabile. E perderò il gioco, oltre l’attenzione degli altri e la vittoria.”
“Non puoi essere vero!” Urlo ma lo sto dicendo a me stesso, per svegliarmi da questo incubo.
“Lo sono.”
Alza le sue braccia e compie un movimento rotatorio. Appare la Terra.
Come in un telescopio, si ingigantisce. I particolari prendono contorno, si vede una città, un quartiere, una casa. La mia. Dentro la casa, mia moglie e mia figlia. Con la polizia.
“Ti stanno cercando. Non possono sapere che tu sei qui.”
Mia figlia piange. Adesso piango anche io, come un bambino.
“Tua figlia ha pochi mesi di vita. Così tua moglie. Gli Uomini stanno per dare il colpo definitivo alla loro esistenza. Non riescono più a controllare le loro azioni che vanno oltre il senso della distruzione totale. Io non riesco a fermarli e mi dispiace perché ciò significa perdere la gara.”
“Perdere la gara? Perdere la gara?!? Maledetto, miliardi di uomini moriranno e tu pensi a perdere la gara?”
“Perché credi che ti abbia chiamato?”
“Dimmelo tu!”
“Sei colui che ha più fantasia di tutti. E vorrei sapere da te: che mossa faresti?”
Cado sulle mie gambe, non riesco a trattenere le lacrime, penso alla mia piccola Sara, a mia moglie ai miei fratelli. Piango senza remore.
Poi all’improvviso smetto. Mi alzo, mi asciugo le lacrime e grido; “ La mia fantasia ti può aiutare? La mia fantasia può salvare la terra? Allora… sì, a pensarci bene, potresti fare una cosa, se tu sei il nostro creatore. Dare capacità a uno scienziato di scoprire il gene della violenza ed estirparlo da tutti. Compreso te!”
L’essere mi guarda. Ha come una leggerissima smorfia, poi si gira e se ne va senza dire una parola. Scompare nella luce sempre più intensa, sempre più forte.
Mi sveglio sudato sul divano.
Un incubo terribile.
Sento mia moglie e mia figlia ridere e scherzare in cucina.
La televisione è ancora accesa. Faccio per spengerla quando mi accorgo che stanno dando la notizia del Nobel al chimico italiano Salimbeni
Lo scopritore del gene denominato Bad, la “cattiveria” tra gli uomini.
Grazie alla sua scoperta si è giunti definitivamente alla totale asportazione del gene dal DNA umano e di conseguenza delle azioni violente dell’Uomo.
Sono pietrificato e cado di peso sul divano.
Poi mi accorgo di un foglio di carta a terra. E’ un biglietto con attaccata una busta.
“Abbiamo vinto!” c’è scritto sul foglio.
Sono sconvolto, mentre apro la busta che riporta la dicitura “Premio Finale”.
Leggo il biglietto che è al suo interno e scoppio a piangere e a ridere in maniera inconsulta.
Proprio in quel momento entra in soggiorno mia figlia, che corre verso di me e mi butta le braccia al collo.
Cerco di nascondere le mie lacrime e l’abbraccio forte, ora che so che continueremo a vivere.
La scritta del biglietto dice:
“Il gioco non avrà fine”.