Alika e Diana

L’uomo grande e grosso aveva lo stesso sguardo della bambina che era al suo fianco destro, quello sconcertato di chi non capisce cosa sta accadendo.

Nella stanza quattro metri per quattro, con i muri di colore bianco virgineo e privi di porte, sono soli, seduti su due sedie in plastica marrone.

Passano alcuni minuti, poi l’uomo grande e grosso cerca di rompere il ghiaccio.

“Io sono Alika, e tu?”

“Diana”, risponde la piccola.

“Sai per quale motivo siamo qua?”

Diana fa no con un cenno della testa.

“A me sembra di ricordare qualcosa, ma non credo sia un ricordo giusto, vero.”

Torna il silenzio, nel quale ogni tanto i due continuano a scambiarsi gli sguardi di chi non comprende. Poi l’uomo grande e grosso mette una mano sulla testa della bambina e la carezza dolcemente, lei per risposta cerca di abbracciarlo seppure con le braccia riesce a cingergli non più di metà dell’addome.

D’improvviso nel muro si apre una porta. Entra un uomo distinto e ben vestito. Li guarda con una espressione colma di tenerezza.

“Smettete di ricordare. Da oggi non servirà, come non servirà pensare. Seguitemi.”

L’uomo grande e grosso, si alza e, prendendo la bambina per mano, segue l’altro uomo fuori dalla stanza, mentre questi guardando verso il basso pensa: “Siete sempre in tempo.”

Sensi

I miei occhi incrociano sguardi gioiosi

la mia pelle tocca velluti preziosi

la mia bocca ha il gusto di fragola

musica delizia le mie orecchie

e fragranze rinfrescano le mie stanze

non vi è senso in me

che non abbia provato l’assoluto

per la tua presenza.

Cammino lungo strade di ogni giorno

mentre tutto è diverso

non c’è vetta innevata

mare trasparente

o folta foresta tropicale

che non mi appartenga

l’universo stesso

si è fatto piccolo anfratto

dentro il mio corpo.

Mi hai donato il tutto

con gesti semplici

a cui non potrò più rinunciare

sospiri carezze e

baci

in assemblaggio d’amore

non lasciatemi like

Come scritto sul profilo mi piace scrivere racconti brevi (a volte dei tentativi poetici).

È un divertimento, ma anche una condivisione.

I like non mi interessano se non accompagnati da una emozione, riflessione o una interpretazione sotto forma di commento.

Cosi, per dire!

Genetliaco

(poesia del poeta maledetto)

Lo specchio, lo specchio

guardo lo specchio

e… niente, non vien altra rima

che vecchio

no, no

c’è anche secchio

ecco, sì, secchio

ma… cosa c’entra?

Al massimo ci entrano gli anni

nel secchio

indi per cui

nessuna differenza

con vecchio.

Sempre più vecchio,

un anno

oggi

un anno meno

anno scorso

un anno di più

tra un anno

speriamo, almeno, ma

non ci metterei le mani

sul fuoco

e vorrei farci rima

ma mi vien cuoco

e fa cagare

allora cambierei

in le mani sulla fiammella

delle candele sulla tortella.

Mi è chiaro che non sto bene

come direbbe una che conosco

è successo nel bosco

nel senso l’ho conosciuta

all’ospedale

ma faceva più rima bosco.

Mi chiedo perché curarmi

del tempo che scorre

se perdo anche

muovendo la torre?

A scacchi mai vinto

ma ho cercato di fregar

chi vince

senza pigiar l’orologio.

E’ vero,

s’ha da morire

ma non c’è furia

di fare la mossa

intanto brindiamo

e a fanculo

tutto il resto.

Gioco di ruolo

Sono seduto a terra in questa maledettissima stanza in penombra in cui mi sono ritrovato dopo il risveglio, circa tre ore fa, credo, visto che non ho più il mio orologio. Non so come ho fatto a ritrovarmi qui, non ricordo niente. Non ci sono mobili, anche i muri sono spogli di quadri o altri addobbi. Non ci sono né lampade, né interruttori per accenderle. Vedo solo uno spiraglio di luce provenire dal basso davanti a me, ma non ci sono porte.

Urlo, prendo a pugni la parete, ma nessuna risposta e sì che vedo passare ombre.

Non capisco, è come se fossi stato rapito senza che io me ne fossi accorto.

Ma da chi? E perché?

Mentre il tempo passa, mi torna qualche barlume di memoria.

Ero sul divano davanti alla televisione e mi sono appisolato.

Forse forse qualcuno con uno spray mi ha narcotizzato. Ecco, forse è proprio così.

Non so. E’ tutto così pazzesco e incomprensibile.

Vedo un’altra ombra dallo spiraglio, sta passando qualcuno: “Ehi, aiuto! Dove sono? Dove sonoooo???”

Niente. Ma cosa sta succedendo?

Un attimo! Si sta aprendo una parete, quella dove vedevo in basso lo spiraglio.

Dio, che luce!

Non importa, qualunque cosa ci sia là fuori, devo uscire da questa stanza, finché sono in tempo. Mi alzo, corro e sono fuori. Un corridoio lunghissimo, non vedo la fine, ma potrebbe essere dovuto a questa luce intensa.

E non sono solo.

Per la miseria quanta gente. Decine di persone che camminano silenziose. Ma… io li conosco, li conosco tutti!

Quello è Sandro, andavamo alle elementari insieme, ed è piccolo come allora. E quella è Sonia, il mio primo amore ed è bellissima, come il primo giorno che la incontrai.

“Ehi, Sandro! Sandro!” Sembra che non mi senta. “Sonia!” Anche lei passa oltre senza guardarmi. Ma cosa sta succedendo?

Ma quello è mio nonno Roberto… ma allora sono morto, non può essere altrimenti. O forse in coma. Ecco, sì, sono entrato in coma e tutto questo ne è il risultato, non può essere altrimenti.

Mio Dio, ma quello è Marco e laggiù, lontana, Lorenza. Due miei amici morti, quanto ho pianto per loro.

L’unico che non mi sembra di conoscere è quell’uomo. Perché sorride? E lo sta facendo verso di me.

“Tu… mi senti?” chiedo.

“Certo.” Ha una voce dolcissima ma scanzonata. E’ un uomo sulla quarantina, di carnagione scura, alto, robusto, dai lineamenti delicati e dagli occhi magnetici, vestito in maniera elegante. Un essere che trova certo apprezzamento nel pubblico femminile.

“Chi sei? Dove sono?”

“Hai solo queste domande?”

Sono confuso e inquieto e le domande sulle domande mi fanno arrabbiare.

“Perché? Che altre domande dovrei fare?”

“Beh, mi aspettavo molti più dubbi da parte tua. In ogni caso ti trovi in un luogo a te sconosciuto. Per quanto riguarda chi io sia, è un po’ difficile spiegarlo. Parliamo un po’, vedrai che capirai chi sono.”

Lo guardo, la mia espressione è certamente sospettosa, poi mi guardo attorno: è tutto luce, potente, ma non si vede da dove arriva.

“Di cosa dovremmo parlare? Sei tu che mi hai rapito?”

Adesso non sorride ma ride, proprio di gusto.

“Non ti ho rapito, non ne ho bisogno.”

Non lo comprendo e mi fa paura, tanta paura.

“Che cosa ti ho fatto? Che cosa mi vuoi fare?”

“Niente, non mi hai fatto niente. Ho solo un dubbio e tu mi sarai utile a risolverlo.”

Resto in silenzio. Non so più cosa pensare e la situazione mi rende muto.

“Hai fantasia?”

Ascolto la sua domanda ma non riesco a rispondere, ho timore di quello a cui vuole andare a parare.

“Hai fantasia?” Ripete e sembra paziente.

“Sì.”

“Molta?”

“Credo. Chi mi conosce dice che è una delle mie qualità.”

“Ne hai molta, te lo confermo anche io. Per questo sei qui.”

Lo osservo, il suo viso, a differenza del mio, non tradisce emozioni. Sorride ancora. Forse riesce a leggermi nel pensiero.

“Adesso ti rivelo una verità per te sconvolgente.”

Ecco la frase ad effetto.

“Io sono il tuo dio, il tuo creatore.”

Mi sento svenire. Sono in mano ad un pazzo.

“Non sono ciò che pensi, non sono un pazzo.”

(Ecco, mi conferma ciò che avevo intuito, mi legge nel pensiero)

“Sono veramente il tuo creatore.”

“Scusa, ma non ho la possibilità di comprendere i tuoi discorsi. Non sto ragionando, sono terrorizzato.”

“Ascoltami attentamente: tu, i tuoi figli, i tuoi parenti, la tua casa, il tuo mondo, il tuo passato, il tuo futuro, siete una creazione dei miei pensieri. Siete il mio spettacolo, la mia storia inventata, il mio teatro, il mio film.”

Non capisco. La mia è muta incomprensione

“Siete il mio gioco di ruolo.”

Ho paura.

“Io e i miei simili siamo in grado di dare forma ai nostri pensieri e di metterli a disposizione degli altri. Molto tempo fa abbiamo deciso di organizzare una gara: abbiamo creato l’Universo che conosci e ognuno di noi doveva creare un suo mondo, con i suoi personaggi e i suoi luoghi. Questi mondi sono disponibili alla visione di ognuno di noi e quello che sarà votato come il più interessante vincerà il Premio Finale. Io ho creato la Terra, i suoi esseri viventi più o meno intelligenti e ho sviluppato situazioni e comportamenti in un gioco di ruolo (come lo chiamate voi) così straordinario da essere ritenuto forse il più appassionante di tutti. Seguito con grande passione dagli altri miei simili.”

Non riesco a crederci.

“Ci puoi credere, è così.”

“Ma tutte quelle persone che conosco e che ho visto qui, alcune ancora vive, altre morte da tempo… come me le spieghi?”

“Sono ologrammi dei tuoi ricordi. Qui prendono forma in presenza del proprietario della memoria.”

“Io… a cosa… ti servo?”

“Una delle regole è che ognuno di noi può intervenire sullo svolgersi del gioco solo due volte dopo la creazione, pena l’esclusione. Sono già intervenuto una volta, circa duemila dei tuoi anni fa. Purtroppo il gioco ha di nuovo preso una piega sbagliata. Se va avanti così finisce molto presto, probabilmente ho valutato male il comportamento umano. E rischio di perdere il Premio Finale.”

Lo guardo incerto.

“La vostra specie sta per rendere la Terra inabitata e inabitabile. E perderò il gioco, oltre l’attenzione degli altri e la vittoria.”

“Non puoi essere vero!” Urlo ma lo sto dicendo a me stesso, per svegliarmi da questo incubo.

“Lo sono.”

Alza le sue braccia e compie un movimento rotatorio. Appare la Terra.

Come in un telescopio, si ingigantisce. I particolari prendono contorno, si vede una città, un quartiere, una casa. La mia. Dentro la casa, mia moglie e mia figlia. Con la polizia.

“Ti stanno cercando. Non possono sapere che tu sei qui.”

Mia figlia piange. Adesso piango anche io, come un bambino.

“Tua figlia ha pochi mesi di vita. Così tua moglie. Gli Uomini stanno per dare il colpo definitivo alla loro esistenza. Non riescono più a controllare le loro azioni che vanno oltre il senso della distruzione totale. Io non riesco a fermarli e mi dispiace perché ciò significa perdere la gara.”

“Perdere la gara? Perdere la gara?!? Maledetto, miliardi di uomini moriranno e tu pensi a perdere la gara?”

“Perché credi che ti abbia chiamato?”

“Dimmelo tu!”

“Sei colui che ha più fantasia di tutti. E vorrei sapere da te: che mossa faresti?”

Cado sulle mie gambe, non riesco a trattenere le lacrime, penso alla mia piccola Sara, a mia moglie ai miei fratelli. Piango senza remore.

Poi all’improvviso smetto. Mi alzo, mi asciugo le lacrime e grido; “ La mia fantasia ti può aiutare? La mia fantasia può salvare la terra? Allora… sì, a pensarci bene, potresti fare una cosa, se tu sei il nostro creatore. Dare capacità a uno scienziato di scoprire il gene della violenza ed estirparlo da tutti. Compreso te!”

L’essere mi guarda. Ha come una leggerissima smorfia, poi si gira e se ne va senza dire una parola. Scompare nella luce sempre più intensa, sempre più forte.

Mi sveglio sudato sul divano.

Un incubo terribile.

Sento mia moglie e mia figlia ridere e scherzare in cucina.

La televisione è ancora accesa. Faccio per spengerla quando mi accorgo che stanno dando la notizia del Nobel al chimico italiano Salimbeni

Lo scopritore del gene denominato Bad, la “cattiveria” tra gli uomini.

Grazie alla sua scoperta si è giunti definitivamente alla totale asportazione del gene dal DNA umano e di conseguenza delle azioni violente dell’Uomo.

Sono pietrificato e cado di peso sul divano.

Poi mi accorgo di un foglio di carta a terra. E’ un biglietto con attaccata una busta.

“Abbiamo vinto!” c’è scritto sul foglio.

Sono sconvolto, mentre apro la busta che riporta la dicitura “Premio Finale”.

Leggo il biglietto che è al suo interno e scoppio a piangere e a ridere in maniera inconsulta.

Proprio in quel momento entra in soggiorno mia figlia, che corre verso di me e mi butta le braccia al collo.

Cerco di nascondere le mie lacrime e l’abbraccio forte, ora che so che continueremo a vivere.

La scritta del biglietto dice:

“Il gioco non avrà fine”.

Siamo fatti d’amore

Siamo fatti d’amore

ma se tu lo chiedessi

non saprei svelartene il segreto.

Non ha tempo o stagioni

parole o sguardi

regali o dedizione.

C’è e basta,

inattesa congiunzione di respiri

di sangue e di sostanza,

cancellazione di perché

senza possibile risposta,

consumarsi d’assenza

è sua prerogativa non richiesta.

Nessuno specchio

saprà rifletterlo

come lui così dentro di noi.

È un seme piantato nel petto

e come da un seme siamo venuti,

anch’esso cresce a fianco

della nostra vita

e giungerà il giorno

in cui ne vedrai la pianta,

rigogliosa o rinsecchita.

Non chiedermi altro,

piccola,

nessuno saprà dirti perché

siamo fatti d’amore

e cosa significhi.

Ciao!

A volte accadono cose che nessuno potrebbe immaginare e, di conseguenza, credere.

Il piccolo Marco si era trovato lungo l’argine dell’Arno con il suo babbo, pescatore incallito che aveva deciso di far seguire le sue orme al figlio unico (come carattere e come numero).

Il piccolo Marco si trovò tra le mani una piccola canna addobbata di lenza, galleggiante, amo e esca. Il babbo gli prese un braccio con una mano e gli fece leva per lanciare in acqua l’amo. Il bambino non sapeva come fare a dire al babbo che non voleva. Vide il galleggiante sul pelo dell’acqua a pochi metri da lui senza davvero comprendere cosa stava accadendo. D’un tratto il galleggiante sparì dentro il fiume e Marco serrò gli occhi sforzandosi di capire senza riuscirci. Fu il babbo col suo vocione a dire “Guarda che culo che hai Marco!!! Ha già abboccato!!” e prese lui la canna in mano. “Guarda come si fa…” si raccomandò al piccolo, e tirò su la lenza. Dal fiume, come un parto doloroso, uscirono il galleggiante, l’amo, e un piccolo pesce che si agitava disperato. Marco aggrottò la fronte e indurì ogni muscolo, mentre il babbo con un movimento circolare portava a riva la preda. “Prendilo!!”gli urlò il babbo indicando il pesciolino. Marco invece iniziò a piangere e a urlare di lasciarlo andare. Il padre allibito, ebbe un attimo di smarrimento. Poi pensando a alta voce “ti pareva che non capitasse a me un figliolo grullo…” slamò il pesciolino e lo mise in mano al bambino.

“Fanne quello che vuoi…”

Marco chiuse a sacco le sue manine per tenere dentro il pesciolino che ormai sembrava lì lì per morire.

“Scusa…”. L’animale sembrò guardarlo per un attimo, poi si ritrovò in acqua, libero. Scappò via veloce, più della luce.

Marco andò a sedersi alla base di un albero lungo il ciglio. Suo padre mestamente si era rimesso seduto vicino alla sua favolosa canna in carbonio aspettando chissà quale straordinaria pesca. Si dimenticò per un bel po’ Marco rendendosene conto solo quando girandosi intorno lo sentì gridare.

Il bambino, arrabbiato, aveva deciso di camminare lungo la riva del fiume, ma il pericolo era dietro l’angolo.

Scivolò in acqua. Il fiume è traditore e lui non sapeva nuotare. In un attimo si trovò nel buio di un liquido mortale. Si dimenava e più lo faceva più andava a fondo.

Nessuno lo sa. Non è stato detto né dal babbo, né dal piccolo Marco, ma è stato chiaro che dei grossi pesci lo avevano riportato di peso sull’argine quel tanto che era bastato al babbo per riprenderlo e salvarlo.

“Ciao!” disse Marco. Il pesciolino ormai era diventato una carpa di tre chili e da sempre li legava un’amicizia nata da uno scambio di salvataggi. Il babbo, sorprendendo tutti coloro che lo conoscevano, aveva smesso di pescare e accompagnava al fiume il figlio solo per permettergli di salutare il suo amico.

“Ciao, pesciolino” disse ancora Marco, “Ci vediamo la prossima volta e, mi raccomando, stai attento…”

Riservatezza

La chiamano Privacy, un vera legge con vere punizioni penali in caso di violazione. Ma talmente fuori luogo che in realtà non viene mai rispettata.

Da un po’ di tempo ero convinto ormai che il vero modo di far rispettare agli altri la mia vita nella sua riservatezza fosse chiudersi in un profondissimo silenzio.

Peccato che i confini tra la normalità e la follia in questo caso fanno strabordare nella seconda. Chi non parla, chi non interagisce non è regolare, ha un cervello anomalo, o troppo infantile o troppo anziano e completamente rincoglionito.

In ogni caso non mi sono preoccupato delle conseguenze e mi sono chiuso in me stesso. La bocca si è saldata nella sua inutilità e ogni suono si è poi fatto impossibile per corde vocali fossilizzate.

Peccato che in realtà il mio bisogno fosse altro: non il mio silenzio, necessario, ma quello degli altri.

Intorno a me tutti urlavano, gridavano, si dimenavano chissà per raggiungere cosa…

Io invece volevo dormire, ma non c’era verso

Gli occhi stanchissimi sembravano raccontare il mondo nella sua attuale situazione, ma a conferma dei miei timori arrivarono i parenti del Belgio.

O dal Belgio? Boh…

Insomma, quando bussarono e aprii, rimasi in silenzio, ma non per la decisione presa di non farlo, solo perché ormai non riuscivo più a parlare altrimenti avrei urlato:”chi cazzo siete???”. Invece, chi tace acconsente e entrarono tutti allegramente abbracciandomi come fossi chissà quale fratello di latte visto tre volte al dì.

Erano diciannove, tra adulti e bambini. Bambini… delinquenti, direi.

Avrei voluto dir loro di levarsi dalle palle, ma non parlavo più. Chi tace acconsente, quindi ritennero di essere graditi e si misero chi nel salotto, chi in cucina, chi in terrazzo, chi nel ripostiglio e una buona metà nelle camere da letto, tra cui la mia.

Il mutismo mi depresse in maniera esponenziale, mentre Jacques, Jordain, Camille, Francoise e tutti gli altri svuotarono il frigorifero pieno in quattro minuti netti chiedendomi poi la gentilezza di andare velocemente a fare la spesa. E siccome chi tace (volente o no) acconsente, ma restando fermo, mi presero i soldi dal borsellino andando loro a bottega dicendo “non ci ringraziare se ci pensiamo noi, lo facciamo volentieri”.

Chi tace acconsente…

Per una settimana, chi ha taciuto ha acconsentito a tutto, niente tralasciando, fino a quando il vicino di casa non mi ha suonato il campanello portandomi un po’ di pomarola come suo solito e vedendo i miei parenti belgi (o belga?… boh) sgranando gli occhi ha gridato: “ma cosa cazzo ci fate qui??? È una settimana che vi aspetto!!!”

Erano i SUOI parenti.

Mi veniva da piangere e mentre il vicino mi domandava li scusi? Sono stati bravi? Ti hanno aiutato almeno? restava in piedi la regola che chi tace acconsente.

Adesso sono solo.

Davanti allo specchio sto sudando come un animale per lo sforzo… voglio ritornare a parlare, a urlare, a dire le cose, perché “chi tace acconsente” come proverbio è proprio una stronzata e la riservatezza a ruota.

Vi capita mai quel bisogno

Vi capita mai quel bisogno

d’essere abbracciati

stretti, cullati, carezzati?

E’ un giorno di quelli,

oggi,

mi sento nudo come alla nascita

e solo per vergogna

non piango come il neonato

timoroso di quello che l’attende.

Seduto al tavolo di una cucina

disordinata come la mia vita,

non m’importa di chi sono le mani

che non mi fanno sentire solo,

conta la loro presenza,

mi fanno sentire abbracciato

stretto

cullato

carezzato.

Non esistono gradi d’amore,

persino la nera zampa

di una gatta sorniona

traccia la strada maestra

che il cuore percorre

per non smettere di battere.

Oggi pomeriggio

Per una settimana ho cercato un libro di fantascienza di Zelazny. Ovunque, librerie e internet, ma non è più da tempo in ristampa e non si trova se non un paio di copie su Amazon al prezzo da quadro impressionista francese.

Oggi mi sono ritrovato per una serie di eventi casuali a camminare nella pineta di Viareggio, quando ho visto una bancarella di libri usati.

Maremma impestata, “stai a vedere che…” mi son detto e mi sono rivolto al signore che la gestiva.

“Ha questo libro?” e gli ho detto il titolo, lui mi ha guardato e mi ha risposto “Boh… lì c’è una quarantina di libri, vedi se lo trovi…” indicandomi un tavolino con la scritta <libri di fantascienza>.

Inizio a scorrere i titoli.

O non lo trovo al terzo tentativo?

Non ci credevo, mostravo una meraviglia che si vedeva lontano un km e all’omino gli ho detto “Incredibile, c’è… è qui… Lo prendo quanto costa?”

” 2 Euro”.

Questo per evidenziare due cose:

1) Non posso che iniziare a credere che il Destino, ovvero lo svolgimento degli eventi, sia una entità che esiste e che si diverte come un matto;

2) Che bisogna sempre pensare la cosa più buona; nel caso in questione, che il venditore abbia una etica che lo ha portato a chiedere 2 euro e non che fosse un bischero a non chiedere molto di più a uno che sbavava per prenderlo.