Non ridere di me

Non ridere di me

quando desidero usare le parole

per fermare nel tempo

ogni battito del cuore

che mi racconta la vita.

Non sono un pagliaccio

o un ridicolo essere

da prendere in giro

per le sue debolezze

o almeno quelle che tu credi

siano.

Lo vedo negli occhi della gente

e nei miei

questo bisogno di dire

di raccontare

di svelare le emozioni

che aprono e chiudono i giorni,

tra lacrime d’incerto significato

e traguardi raggiunti.

Un bacio, uno sguardo

di riconoscenza, una telefonata,

un addio, un sorriso bambino e

chissà quanti altri momenti

desideriamo rendere eterni

nel ricordo che si fa per sempre

grazie alla penna che scrive

sulle bianche nuvole dell’eternità.

Non ridere di me,

della mia incapacità

di dare degno spessore

al racconto dei miei giorni,

mi accontento che in segreto

tu mi legga e assapori

la felicità di vivere

che desidero regalare.

Serendipità

Che io potessi amare i gatti è stata davvero una scoperta tanto straordinaria quanto inaspettata. Specie se accade mentre pensi davvero a altro, a sfamarti ad esempio. Che in fin dei conti è una disciplina naturale e inevitabile. Oh, non che volessi mangiarmeli i gatti, seppure credo potrebbero avere un buon sapore, anzi, ripeto che ai gatti proprio non ci pensavo. Piuttosto capita di passare momenti di magra in cui tutto diventa difficile al punto di rendere complicato anche procurarsi un piccolo pezzo di carne o anche solamente degli avanzi che per me, al contrario, sarebbero parsi un pranzo luculliano. Ecco, questo è uno di quei periodi: mangio pochissimo e ho perso un sacco di peso. Dicono che fare la linea fa buono, a me conduce alla morte. Disperato, due giorni fa avevo perso completamente le forze, non riuscivo a camminare e alla fine sotto un gelo terribile mi sono appoggiato a un muro dal quale sembrava passare un tubo del riscaldamento, da come era caldo. Mi era parso un modo dignitoso di morire. Solo che a quel muro si era appunto appoggiato anche un enorme gatto nero, con degli occhi che parevano due fanali. Mi ha miagolato come a dire che quel muro era suo. Io non ho avuto la forza di dire niente e lui se ne è reso conto. Ha inclinato la testa una volta a destra, una a sinistra, poi si è allontanato. È tornato con tra i denti una scatoletta. Con un po’ di difficoltà l’ho aperta e poi ne ho mangiato il contenuto. Faceva schifo, ma mi ha reso un po’ di forza. Me ne ha portata un’altra. Appena mangiata anche quella mi ha fatto cenno di seguirlo. Dietro l’angolo c’era una bambina. Appena mi ha visto assieme al gattino, ha cominciato a a urlare: “lovogliolovogliolovoglio”.

Da due settimane sono ben nutrito e al caldo insieme a Torello, il gatto delle scatolette, e Giulia, la bambina. Mi piacciono le sue carezze, gioco con entrambi e cerco di abbaiare allo stesso volume del miagolare del mio carissimo amico felino.

Talmente inaspettato che ancora fatico a crederci.

(per la giornata mondiale del cane, mi pareva giusto ci fosse condivisione con i felini)

Pegno d’amore

Sei tu che mi hai insegnato

cos’è un pegno d’amore.

L’averti fatta nascere

dove il sole s’è fatto ghiaccio,

l’averti fatta crescere

dove domina il pianto

e l’attenzione non salva

dal dolore,

fa di me il peggiore

dei debitori.

Nei giorni delle tue lacrime

e degli inconsolabili perché

senza risposte,

frugo nelle mie tasche

ogni mio avere

fatto di ascolto e consigli e

li verso sul tuo conto corrente

affettivo.

Lo farò fin quando

non avrò ripagato

in sorrisi e abbracci,

i tuoi,

il mio pegno d’amore.

25 settembre 2022

Sono la lista n° 102.

Ho solo un programma: far lavorare il più possibile!

Nel vero senso della parola, cioè 7 giorni su 7, 84 ore settimanali, senza ferie, permessi e pausa pranzo (si mangia lavorando o, se servono entrambe le mani, senza mangiare). Paga da stabilire ma pari all’acquisto di beni di sussistenza, tanto non avrete tempo di spendere per fare altro.

In questa maniera non avrete più possibilità di leggere o di scrivere, ma soprattutto, non avrete più tempo per pensare.

Così smetterete di essere infelici, scontenti, insoddisfatti, irrequieti.

Inoltre, grazie a tutto questo:

1) azzererò la disoccupazione;

2) cancellerò le pensioni, (visto che prima di maturare gli anni sarete già morti per un colpo secco), diminuendo drasticamente il debito pubblico;

3) azzererò gli sbarchi clandestini (col cazzo che ci vengono).

Meglio di così?

Il 25 settembre votate la Lista 102!

Il Maestro e l’Allievo (Della serie “A me Osho mi fa una sega!”)

“Maestro, posso porti un quesito?… Maestro, hai ascoltato quello che ho detto?… Maestro…”

“Ma che dici a me?”

“Sì, Maestro!”

“Se tu mi richiami Maestro, ti tiro dietro uno di questi vasi in terracotta e ti disfo codesta capoccia vuota! Te l’ho detto mille volte di non farlo…”

“Scusa, ma non posso fare a meno di chiamarti così, Maestro… tu mi illumini con le tue risposte, tu mi apri la via alla gioia e alla felicità con le tue parole, tu…”

“SMETTILA!!!”

“…”

“Piuttosto, finiamo quello che stiamo facendo, dai!”

“…”

“…”

“…”

“Uffffffaaa… non fare codesta faccia a culo… va bene, va bene…se non mi richiami Maestro ti risponderò. Cosa vuoi sapere?”

“Grazie, Maestro!!! Oh, scusa… ti prego aiutami a risolvere questo mio grande dubbio: l’Amore è bisogno?”

“???”

“Si, in questi giorni mi faccio spesso questa domanda, se l’Amore nasce da un bisogno oppure ha altra genesi…”

“Però… che bella domanda… maremma maiala quanto pesa!”

“Cosa? L’amore?”

“Ma che amore e amore! Che mi prendi anche per il culo? Aiutami piuttosto… vieni… eeee oooppplàà!… bene ora prendiamo l’altro.”

“Sì, ma dimmi dell’amore!”

“Parli del Vero Amore?”

“Sì, di quello…”

“è una domanda molto difficile, poiché si presta a molte risposte. E io non ho la verità con me.”

“Invece sì, Maestro, tu l’hai, io lo sento!”

“Io sento solo che pesa una tonnellata ‘sto coso… su, dai! Spingi! Eee… oplà!!! Anche questo fatto… Allora… Io posso dirti solo questo. Il bisogno riguarda la fame, poiché se non mangi muori. Il bisogno riguarda la sete, poiché se non bevi muori. Il corpo ha bisogno di sostanze, altrimenti imputridisce…ma l’Anima ha davvero bisogni?”

“…”

“O che faccia a imbecille tu fai? Mi segui?”

“Si, Maestro… oohhhioohhiooi, ma che fai???”

“T’ho detto che ti tiravo dietro un vaso e l’ho fatto!”

“Perdona la mia grande stupidità ma, ti prego, risolvi questo mio dubbio…”

“Beh, nella mia domanda era insita la risposta ma tu, evidentemente, non capisci una sega. Il vero Amore è un incontro, è una unione, è il fondersi tra Anime. Avviene al di là dei bisogni poiché avviene e basta, senza forzature e in maniera inevitabile.”

“Come faccio a sapere se il mio è Vero Amore?”

“…”

“Perché sorridi, Maestro?”

“ Mi vuoi fare proprio incazzare… comunque sorrido perché è l’ultimo vaso, per oggi… vai dammi una mano… VAI… ORA!!! Oppplààà!!! Via, finito di caricare il camion… cinquecento piante d’olivo… che mazzo ci siamo fatti per venti euro a nero… e questo mi parla dell’Amore…”

“Ti prego… come faccio a capire che Amore è il mio???”

“Che palle d’allievo… Insomma vuoi sapere se il tuo è amore vero?… L’hai cercato o ti ha trovato?”

“Io non l’ho cercato…”

“…”

“Sorridi di nuovo…”

“Sei fortunato…”

Breve recensione cinematografi’a: 300 (in dialetto grezzo toscano)

Stimolato da Raffa, una brava blogger che scrive recensioni cinematografiche, ecco che ho deciso di postare la prima che feci e che, inutilmente, avrebbe dovuto convincermi a non farne altre…

300

(al massimo TRI ANDRED e non TRECENTO sennò que’ rimba degl’ameriani si sfavano)

I’ presupposto, sempre ce ne sia uno, è che gl’ameri’ani, poveracci, un c’hanno un cazzo di storia e allora pe’ giustifi’are le loro manie guerresche gl’hanno scomoda’o Leonida, re spartano.

Spartano, non ne’ senso di semplice, ridotto a i’ minimo o senza accessori, ma proprio di Sparta.

Come si vede da i’ prologo, Leonida fin da piccino piglia degli schiaffi roba da urlo.

Alla fine o mòre o diventa Re. Non essendo morto…

Gli spartani gl’erano un popolo ganzo: o t’eri uno co’ pettorali che Swarzeneggher sembrava una sega del mi’ ami’o Giuseppe o ti buttavano giù da una rupe (per questo son nato a Prato).

Le femmine invece l’era tutte bòne fòri di misura ma probabilmente a’ maschi un gliela facevano vedere nemmeno col cannocchiale visto che eran sempre incazzati e gl’urlavano come se gl’avessero strappa’o il prepuzio.

Ora si da’ i’ccaso che un energumeno di due metri e venti per ducento chili di muscoli, tal Serse figlio di Dario decide di fare un po’ di culo a’ greci.

Oh, bravi i greci, eh, ma se t’arrivano tre o quattrocento mila persiani a cui hanno fatto la spia rivelando loro che gli spartani avevano affermato che c’aveano la mamma maiala, un si po’ dire che un se la son cercata.

Il coraggioso Leonida (dal mio punto di vista un emerito deficiente) prende trecento, scusate, 300 altri spartani fatti con lo stampino, muscolosi da fa’ paura e invidia al sottoscritto, e pe’ un’ora e cinquattotto minuti di filme gl’ammazzano più persiani loro che minatori cinesi le miniere in Cina.

Poi in quaranta secondi mòre lui e tutti i su’ compagni.

Bella soddisfazione.

Tralasciando che nel frattempo la moglie di Leonida la s’è fatta trombare ben bene dal traditore di Sparta (ma mi sembra un dato di molto significativo), gliè evidente come gli ameri’ani si identifichino in questi poeri bischeri di eroi spartani, grandi guerrieri che s’immolano per la libertà, i’ccui sacrificio, bada lì, serve per riunire gli altri eserciti contr’il male, vedi greci e spartani contro i persiani o meglio italiani e inglesi contro i siriani (in origine parlavo di irackeni, ma poiché la storia proprio non cambia…)

Ora si da il caso che Serse, nel caso in questione, in realtà gl’ha fatto terra brucia’a della Grecia stravincendo ovunque facendo più danni della grandine.

Indi per cui se quest’ameri’ani pensano di fa’ ganzini nel cinema come nella realtà siamo tutti nella cacca.

A proposito, bella fotografia sul giallo seppia e marrone.

Grata

“L’Anima nera”, lo avevano chiamato.

Quando cantava durante i temporali, anche il vento si ritirava e da quella grata usciva solo il suono della sua voce, potente e graffiante.

Aveva cominciato a cantare, fin dal primo giorno che lo avevano visto arrivare in cella 318, melodie mai sentite prima, probabilmente inventate sul momento. Cantavano la fiera dignità di una vita ferita dall’ingiustizia, trasformando ciò che poteva essere un lamento di dolore in una preghiera di speranza.

Julius pativa sul corpo i segni dell’impazienza di carcerieri poco inclini a sopportare il suo continuo canto. Quante volte lo avevano estratto di forza dalla sua cella per portarlo in infermeria con l’intenzione di farlo smettere: prima a forza di farmaci (ma restavano tracce certe), poi a forza di lesioni interne molto meno evidenti.

Ma Julius cantava imperterrito con le mani attaccate alla grata che segnava il confine tra l’inferno e la vita che gli spettava. Parole di amore e di gioia che il suo cuore scriveva sul momento e che arrivavano potenti in tutte le altre celle. Se all’inizio alcuni dei più violenti inquilini del carcere lo avrebbero volentieri fatto a pezzi, adesso tutti sapevano che non avrebbero potuto più fare a meno di quella voce.

Nei giorni che i detenuti passavano nella solitudine forzata (immeritata o meno) c’era l’assenza del tutto e la presenza del nulla. Pochi si resero conto subito che quelle note furono un appiglio di salvezza per anime troppo indebolite e ormai prive di voglia di vivere.

“Cantate anche voi – disse ai suoi colleghi durante l’ora d’aria – e per farlo attaccatevi alla grata della finestra. Sentirete le vostre mani bucare il confine con la libertà e la musica e le parole usciranno da sole”.

Adesso, il carcere sembra essere esso stesso a cantare da quanti sono a farlo senza intervalli. Felici e cambiati dentro, compresi i detenuti più scettici.

Julius adesso li ascolta da fuori. Da una settimana l’errore giudiziario che lo aveva ingiustamente condannato è stato scoperto ed è stato scarcerato con tante scuse.

Mentre sente quel mix incredibile di suoni e parole, sorride: ripensa a quando, tornando a casa sua, si è affacciato alla grata antintrusione davanti alla finestra di casa sua, situata a piano terra, e a quando l’ha divelta dal muro e portata al ferrovecchio.

Raggi Bamba

La stella esplose, poi implose, di nuovo esplose ed implose, insomma non voleva morire.

Purtroppo per lei anche Corte Suprema Stellare ha sentenziato “devi morì!” e alla fine è esplosa diffondendo in tutto l’universo una quantità industriale di Raggi Bamba.

Queste onde a bassissima frequenza hanno raggiunto la Terra dopo 194 anni, cioè di questi giorni, colpendo tutti gli esseri viventi del pianeta.

No, non sono radiazioni letali all’uomo, sarebbe stato meglio così ci si levava di mezzo e si smetteva di rompere i coglioni.

No, il fatto è che i raggi Bamba sono così fini, ma così fini, anzi aiutatemi a dirlo… al tre… uno, due, tre… fiiiiini, da aver raggiunto e distrutto, all’interno del cervello umano, quelle cellule cerebrali umane conosciute con il nome Rimba.

Cerchiamo di essere precisi: nessun uomo sa dell’esistenza di tali cellule.

E’ che il nostro Creatore, dopo sette giorni di duro lavoro, a quella che riteneva la sua migliore invenzione, alla fine dell’ottavo giorno gli aveva sentito sparare talmente tante bischerate, che ritenne necessario di dotarlo di un apparato cerebrale che lo aiutasse a riflettere, prima di sparare stronzate.

Ovvio che, come comanda l’Evoluzione, l’Uomo è riuscito a sviluppare al meglio tale funzionalità, pur senza sapere di averla. Infatti ora si dice una cosa pensando già di farne un’altra.

I Raggi Bamba sono come invisibili all’Uomo, e in cinque minuti cinque hanno distrutto tutte le cellule Rimba esistenti.

L’Uomo vive ancora.

L’Uomo ride, piange, fa l’amore.

L’Uomo sfrutta e viene sfruttato.

Ma l’Uomo ha smesso di mentire.

Al matrimonio di un mio collega, il prete, mentre officiava la messa, ha detto allo sposo: “come faccio ad unirti in matrimonio a questa zoccola , dieci minuti fa me la son fatta in sacrestia!”

Una commessa ha rivelato al cliente “sono felice della sua scelta per questo vestito in fresco di lana di Armani da 1350 euro, che poi non è altro che un abito in viscosa da 60 euro preso al mercato, dove gli abbiamo attaccato un’etichetta falsa”

In una televisione, un giornalista, mentre conduceva il telegiornale si è espresso così: “Beh, mi sta proprio sulle palle! Guarda che mezza sega ci deve comandare! Però, sono troppo vispo, cari telespettatori, e ho capito subito a chi far finta d’essere servile. Con dei coglioni come ci sono a contrastarlo, come poteva non uscirne vincente. E così ho potuto continuare a consumarmi nel vizio più assoluto (prostitute e gioco d’azzardo)… uhm, bisogna però che mi segni che fra un po’ sarà meglio tornare servo della chiesa, non si sa mai”

Nel frattempo, il leader di un Paese, ad una convention, colpito in quel momento dai raggi Bamba, getta via il discorso scritto e comincia:” Presto lavorerete tutti per me. Cazzo, e chi se lo credeva di avere dei compatrioti così stupidi? Mi son messo in politica per non andare in galera e mi son trovato in mano un Paese. Ora che ho cambiato la Costituzione vi farò un culo come una nave Costa. Intanto si fa subito una legge sulla pena di morte per chi sputa il chewingum per terra, che due minuti fa m’ha rovinato le scarpe da 3000 euro. Poi un’altra che entrerà in vigore da oggi per il contributo statale del 100% del costo a chi mette tendaggi in ville da mille mq coperti per importi superiori a 50.000 euro. Sto pensando seriamente anche alla “ius prime noctis…”

Dall’altra parte della stessa nazione, un esponente dell’opposizione, colpito dai raggi nello stesso momento, esclama: “ Che palle!!! Base, base… ma andate tutti a fare in culo, m’avete rotto. E’ inutile che insistiate. Ma guardatevi! Se siete fortunati, fate otto ore di lavoro per mille eurucci da fame, ma io c’ho il cravattino, non ho mai fatto un cazzo in vita mia e finchè ho potuto ho fatto i miei interessi. Come faccio a contrastare il mio avversario politico su questo piano: nel giro di cinque minuti mi sputtana! Quindi, quel che posso fare lo fo, se lo prendere nel culo, affari vostri.”

I raggi Bamba hanno colpito anche i bambini.

Ma in loro non c’è differenza tra il prima e il dopo.

Imparerò

Imparerò
a guardarmi allo specchio,
a vedere le urla dolenti
di una bocca consunta,
gli occhi annegati
nel mio stesso sangue,
zigomi e fronte incisi
da tagli profondi.
Adesso mi vedo come sono,
nel contraddittorio
tra essere e apparire,
in un viso persino sorridente,
velato di quel malessere quotidiano
che cerco di nascondere.
Imparerò
a guardarmi allo specchio,
per accettare,
per accettarmi.