La tua voce

Vorrei raccontare di te

in ogni angolo di questo pianeta,

far giungere la tua voce

anche là dove domina silenzio

e lacrime e disperazione,

certo che sia balsamo

a lenire il dolore che scolora

questo nostro tempo.

Mi farò seme in balia del vento

attecchirò tra solchi di una terra

solo apparentemente arida

e al suono della tua musica

mi farò pianta rigogliosa

così che tutto possa comprendere

la magia delle tue note gentili.

Vorrei farlo per ringraziare

quel dio che ci fa dono di te

svelando il mistero divino

del bello, guerriero coraggioso

che sguaina la sua spada

liberandoci dal male senza ferire.

Sei il miracolo inatteso,

il vento che muore rispettoso

delle foglie in autunno,

i minuti più belli,

la purezza delle prime gocce

d’una sorgente alpina.

Chi ti ascolta guarisce

qualunque sia il suo malanno,

chi ti ascolta torna puro,

chi ti ascolta può salvare il mondo.

Vorrei raccontare di te

in ogni angolo di questo pianeta,

ma rileggendomi so che devo

cercare ancora le parole giuste.

Ogni tanto ti dedicherò un piccolo pensiero.

Ogni tanto ti dedicherò un piccolo pensiero.

Lo farò quando mi sentirò felice oppure nei momenti più bui, quelli in cui mi va di fermare il tempo della normalità fatta di lavoro e di gente.

Sarà un pensiero breve, senza alcuna pretesa se non quello di dire che ci sei, come tutti coloro che hanno fatto parte della vita di una persona e saranno per sempre vicini.

Ieri c’è stata una manifestazione in tuo onore.

Come non emozionarsi? G. ti ha ricordato ai presenti con poche parole, semplici, ma esaustive. Siamo tornati bambini, a quando tornavi a casa col tuo sguardo severo, tu che per mantenere una famiglia numerosa ti sgnaccavi come minimo 12 ore al giorno di duro lavoro in fabbrica, partendo da casa la mattina presto e tornando la sera all’ora di cena. Nel mezzo dominava la tua assenza che al tuo ritorno diventava una specie di resa dei conti comportamentale. Non avevi bisogno di alzare le mani su noi quattro, bastava uno sguardo e sapevamo quale era il premio o, più spesso, la punizione.

Ogni tanto, anche oggi, da lontano, mi domando come hai fatto a insegnarci le regole del buon convivere nel mondo, ma poi mi rendo conto che la risposta è semplice: “Chi sta con lo zoppo, impara a zoppicare” diceva il nonno.

Mi guardo intorno e immagino i tuoi occhi sgranati per quello che accade al giorno d’oggi. Tu che hai vissuto il cambiamento sociale dalla guerra ai tuoi ultimi giorni su questo pianeta sono certo che ti domandi com’è possibile l’atmosfera del tutti contro tutti che impera tra noi vivi.

Ma anche in questo caso, per te c’è una facile risposta: il benessere ci ha reso egoisti, narcisisti, irrispetto e siccome era giusto quello che diceva il nonno…

Ciao, Boss. Saluta tutti, lassù.

Senza risposte

Non aveva risposte.

Però aveva millecentottantuno domande.

Una era: che ore sono?

Si guardò l’orologio. “Bello!” pensò, anche se c’era qualcosa che non gli tornava e che gli lasciava l’ennesima domanda senza risposta.

Che cosa?

Ecco un’altra delle millecentottantuno destinata a non avere soddisfazione. D’altronde se uno vi chiede “Che cosa?”, che cavolo gli rispondete.

Il cielo era terso e stava piovendo. Uno direbbe che è un ossimoro, ma la verità è spesso diversa da quello che si pensa e infatti è solo che chi lo ha scritto non sa che voglia dire “terso”.

Il male del mondo, si capisce da questo, dipende dall’incomprensione.

O forse dall’ignoranza? Domanda trecentosedici di millecentottantuno. All’inizio è scritto che non aveva risposte, quindi continuate a giocare a briscola senza far caso a lui.

I quattro ottantenni lo fanno e tornano a giocare a scopa. Perché uno potrà pure giocare a quello che gli pare.

Ha smesso di piovere.

Le auto vengono spinte a mano per non consumare benzina a € 6,95 al decilitro. Arrivati alla meta, i piloti, sudati marci, entrano in auto, girano la chiave per spengere il quadro e poi scendono felici di essere arrivati alla meta.

Un fornaio in sella a una bicicletta con un enorme cesto al manubrio, lancia a gratis filoni di pane a destra e a sinistra. Come al solito chi prende tutto sono quelli al centro e gli altri a morir di fame.

Un pittore con la tela distesa a terra pensa a cosa dipingere mentre un’orda di bimbi di un asilo vicino arrivano e camminano sulla tela ancora bianca. Ridono e saltano di gioia. Il pittore agguanta la maestrina dei bimbi, le strappa i vestiti di dosso, l’attacca a un albero e le dice ansimando: “e ora… mi dici che ore sono?”. Lei non ha orologio. (Possibile che ancora non ricordiate che non aveva risposte… ma capita e io vi voglio bene). Il pittore s’illumina, crede di essere Gesù e urla ai bambini: “Venite a me e datemi un abbraccio”, perché ama il prossimo tuo che quello prima è scappato con un canadese.

Ho bisogno d’amore.

Affermazione potente di un cane lupo cecoslovacco che se non glielo dai, ti sbrana.

Forse chi è troppo forte non deve chiedere?

(Sì, bravo hai capito, non aveva risposte neanche stavolta).

La punteggiatura cambia il destino del mondo, perché capire fischi per fiaschi provoca guerre, ma pensava che il punto interrogativo fosse una bomba nucleare tattica.

Infatti non aveva risposte e gli giravano i coglioni.

lacrime invisibili

Le lacrime scendono invisibili

da quei tuoi occhi

secchi come la sabbia

di un deserto di solitudine.

Ti chiedo come va

e mi siedo di fianco a te.

Respiro il profumo

della tua pelle che è

la mia stessa pelle,

ascolto il tuo silenzio

che è il mio silenzio

e aspetto la tua risposta.

Inarchi le spalle come

arresa all’inevitabile,

ma so che non è così.

Mi somigli in questo, sai

crediamo che niente

possa aiutarci se non

noi stessi,

chiudiamo il cuore a riccio

e un reticolato di sinapsi

protegge le nostre debolezze.

Ma ci sono io qui con te

e, in cambio, tu qui con me.

Se mi racconterai di te

io ascolterò i tuoi dubbi

e i tuoi perché.

Sarò il tuo muro del pianto

o il vento che soffia via

le nubi di un cielo oscuro.

Se vorrai, potrai farlo

anche tu con me

in scambio d’amore.

Al giorno d’oggi

Al giorno d’oggi 1

Scoperta l’identità del tifoso che ha chiesto a Paola Egonu come mai è Italiana.

E’ un impiegato dell’Istat mandato dal neo presidente della Camera per mettere in atto un severo controllo sulle famiglie strane.

al giorno d’oggi 2

Samantha Cristoforetti, torna dopo sei mesi e commenta:

“Ehhh???

Chi hanno fatto presidente della Camera?!? Forza smettete di prendermi per il culo. Ditemi come va davvero sulla Terra!”

Al giorno d’oggi 3

E’ morto Hagrid, il gigante buono di Harry Potter.

Ormai è chiaro: su questo pianeta resteranno solo mezzeseghe teste di cazzo.

al giorno d’oggi 4

Trentatreenne, padre di una bambina di due anni, la violenta e diffonde video degli atti tra la comunità dei pedofili…

… e io sto qui a domandarmi come è possibile che ci sia un tale presidente della Camera a rappresentare tutti i cittadini, compreso me.

Son proprio grullo.

Cavalletta

Tiravo d’arco in piazza del Duomo senza permesso, quando m’è arrivata una cavalletta sul naso.

A me fanno schifo, le cavallette. Ho fatto un urlo disumano che al confronto quello della mi’ mamma davanti alla Cosa era un sorriso accennato. E ho cominciato a agitare la testa senza appoggiarci la mano per non toccare la cavalletta che (lo ripeto) mi fa schifo.

Lo facevo correndo, a me le cose schifose mi fanno correre. A quel punto mi sono girato e ho visto un monte di gente corrermi dietro. Allora ho aumentato l’andatura, forse avevano addosso milioni di cavallette! Che schifo!!!

Ho attraversato il centro con quel nugolo di persone che mi tallonavano (ho saputo dopo che mi volevano prendere per linciarmi dopo che la freccia che avevo lanciato all’arrivo della cavalletta – che schifo! – aveva preso in pieno due vecchine che entravano in chiesa, pace all’anima loro).

Li ho staccati, non perché andavo più forte, ma perché sono caduto in una fogna che aveva il tombino aperto. Mi sono sganasciato tutto, ma sono caduto di viso e, pur spappolandomi il setto nasale, ho spiaccicato la cavalletta. A quel punto, anche se urlavo di dolore, mi sono rasserenato non avendo più quello schifoso animale addosso.

Ho ripreso a correre, ma le fogne sono strette e basse e soprattutto piene di topi. A me i topi non fanno schifo e seppure mi fossero entrati dappertutto, mi mordessero ovunque e fossero migliaia, mica vorrete paragonarli a quella schifosissima cavalletta? Insomma, a un certo punto ho trovato una scaletta che portava in superficie. Sono salito, ho aperto il pesantissimo tombino e sono uscito all’aperto ricoperto da un tappeto di topi che mi avevano reso un pappume sanguinolento a forza di morsi.

Non so per quale motivo la gente ha cominciato chi a urlare, chi a scappare a destra e a sinistra, chi terrorizzata, chi ferma a vomitare, chi a suicidarsi, chi a svenire.

Poi ho sgranato gli occhi e ho capito: “Dov’è??? Ho urlato, Dov’è la cavalletta????”

Perché le cavallette fanno schifo davvero e, evidentemente, non solo a me.

Senza capo, né coda…

Mi tolgo il pigiama e, arrotolandolo, lo getto per terra. Un ragno, certo disabile avendo solo cinque zampe, vaga sul pavimento non potendo arrampicarsi sul muro. L’ho guardato male. Nel senso che non ho gli occhiali. Me li sono messi e ho visto la sveglia. È tardissimo, almeno trenta secondi oltre l’orario. Ho tirato lo sciacquone senza lavarmi né usare il water. Saluto. Mi salutano. Chi e cosa, che importa? Basta farlo, è una questione d’educazione. Sentimentale? No. Davanti al mio garage un lombrico attraversa la strada. Aspetto che lo faccia. A mezzogiorno l’anellide è giunto dall’altra parte e posso andare a lavorare. Un pellicano, durante un semaforo rosso, atterra sul tetto della mia macchina. Arriva il verde e riparte. Il pellicano. Anche io. Piove da tre giorni e non ho l’ombrello. No, l’avevo, ma non l’ho ora: l’ho venduto a uno vestito tutto per benino, mi ha dato tremila euro per non bagnarsi. Ha smesso. Di piovere. Si vede che basta dirlo. In vetta ad un lampione c’è una scimmia che cambia la lampadina, è proprio vero che non si trova più nessuno a fare certi lavori. Entro in ditta, suona la sirena. È finito il turno. Bello lavorare qui. Torno a casa di Giovanni. Giovanni mi apre. Mi chiede chi sono. Me lo domando spesso anch’io. Non so cosa rispondere. Giovanni mi mette a tavola con un cappone arrosto, tre papaya e marmellata di rose. Pane? Domando. Chiedere è lecito rispondere è cortesia. Giovanni è solo lecito. Mi metto le dita nel naso, ma non so perché lo faccio. Saluto Giovanni che si lecca le dita senza condimento. Uscito respiro a pieni polmoni e comincio a tossire. C’è aria e aria. E aria. E aria. E aria. E potrei continuare se non trovassi un cavallo dalla criniera folta e rossiccia. Gliela taglio. È più carino. Come Tonino. Galoppa, gli dico, ma lui trotta, ho la gotta, dice. Non è il suo parlare che mi sorprende, ma la rima. Guardo il sole tramontare e penso al lombrico. Spero torni prima che faccia buio. Buio di domani vista la velocità di esecuzione. Da ultimo miglio. È poetica l’apparenza del calare tra i monti. Che frase a bischero. Ma non è la peggiore. Ho acceso i fari. Quello di Tropea, quello di Viareggio e quello dell’isola del Giglio. Quelli della macchina li ho spenti. Ho preso il platano con l’auto nonostante altri vedessero bene il mare. Tornare a piedi ti svela particolari sconosciuti. Tipo lo smog della tangenziale. Sudato come Rocky nel quinto (da settantenne) episodio arrivo a casa, mi asciugo e poi mi faccio la doccia. Vado a letto. Sono bagnato e mi metto il pigiama. Qualcosa non mi torna, ma ci penso domani. Dormo nell’umido mentre una zanzara depone le sue uova nella mia ascella. La notte trascorre nel russare di una donna. Apro gli occhi. Mi siedo sul letto. Mi tolgo il pigiama e, arrotolandolo, lo getto per terra. Un ragno…

La morte dell’anima

A volte credo d’esser cieco,

ogni immagine di vero

si smaterializza ai miei occhi.

Si fa buio d’improvviso

come in quei giorni d’autunno

quando siamo orfani

della lunga luce estiva.

Allo stesso momento

credo d’esser sordo

poiché svanisce ogni suono

gradevole o al contrario

stucchevole all’ascolto.

Una oscurità silente

come fu l’origine dell’universo,

probabilmente o forse no,

per certo a ricordare il niente

e svelarmi l’esatto senso della vita.

Questa incomprensibile alternanza

tra l’assenza e l’essere

scava solchi sterili sulla mia pelle

ed io che me ne vergogno

affogo in questo pauroso nulla

che molti scambiano per

la morte dell’anima

Una giornata particolare


Mentre mi scaccolo nervosamente, non mi chiedo chi continuerà a leggere quello che sto scrivendo, ma piuttosto chi userà più tardi questa tastiera.

Oggi è una giornata particolare e lo è non perché ricca di chissà quali eventi, ma perché diversa da tutti i passati ieri e da tutti i futuri domani.

In questo mondo impazzito dove tutti, compreso io, vogliono dire la sua, non ci resta che ringraziare l’esistenza dei computer senza il quale avremmo riempito miliardi di pagine cartacee con relativa deforestazione amazzonica.

Così d’acchito, come direbbe il biliardista Francesco Nuti, parlerei di un anziano giornalista che parlando di un calciatore (tra i più brutti che abbia mai visto) lo ha elogiato fisicamente dicendo che ha la “faccia un po’ da sindrome Down”.

Una volta gli anziani erano i cosiddetti saggi. È chiaro però che adesso l’inquinamento, sia aereo che acustico, abbinato a uno stile di vita iperstressante conduce l’essere umano verso la pazzia o, in particolar modo, alla stronzaggine senza freni che rende i vecchi pericolosi rincoglioniti. Da qui a passare al secondo soggetto di questa giornata particolare (ovvero uno che per paura lo facciano fuori va a cacare con dei pulsanti rossi in mano che se li pigia non ci resta niente di vivo sul pianeta) è cosa immediata.

Possibile, mi chiedo mentre mi pulisco il dito indice sotto la sedia, che la vita dipenda da chi sta per perderla?

A proposito di perdere la vita, quel giovane rider morto sul lavoro e licenziato per non aver rispettato la consegna, può essere felice perché la ditta ha detto che è partito un messaggio standard che non è da tener di conto. Quindi a tutti gli altri che non riescono a fare le loro consegne basta che si facciano schiacciare da un camion per non perdere il posto di lavoro.

Relativamente alla faccenda del ponte tra Russia e Crimea fatto saltare da un camion kamikaze è stato scoperto che il motivo dell’accaduto era di far capire ad un grande politico italiano cosa accadrebbe a fare il ponte sullo stretto di Messina. Ringraziamo chi ha sacrificato se stesso per questa annotazione.

Ultima, ma non ultima, la comprensione e il senso di tenerezza verso un uomo che condannato all’ergastolo per aver ammazzato la donna con cui aveva una relazione e aspettava un figlio, si è visto variare la pena a 19 anni. Essendo al tempo del fatto sposato con altra donna, gli è stato riconosciuto di quanto sia stato ganzo e chiavatore, insomma, maschio nella giusta misura mica come quelle mezzeseghe di questi tempi.

Ci sarebbe da dire anche del record dell’ora in bici, ma detto tra noi ma chi se ne frega di uno che fa 227 giri di pista come se avesse un’orda di rottweiler che lo inseguono?

Finisce qui una giornata particolare, di quella di domani parlatene voi che io mi sono stancato.

Abbraccio

(ed è quando si inizia a pensare che la nascita di una nuova vita sia solo futura sofferenza, che perdiamo la speranza)

Ti ho messa

al mondo,

così farcito

d’amore

e di pazzi,

dove un dito

può spezzare

speranze

con leggera

pressione.

Cos’altro

posso provare

se non senso

di colpa?

A danno fatto

non mendico

scuse

solo ricerca

di risposte

ai tuoi

“Perché?”

Filtro

i mille pensieri

fin quando

nel vaglio

ne resta

soltanto uno.

Per questo

ti stringo

forte

ogni sera:

è nell’abbraccio

la mia

espiazione