M’inclino
lento
e nonostante
l’artrosi
tocco
di testa
i piedi e
mi ci appoggio.
Meno male
li ho lavati;
chi m’osserva
si domanda
quello che vuole,
chissenefrega.
Piegato
col sangue
al cervello
ascolto le
innumerevoli
cazzate
disseminate
nel vuoto
che trasmette,
ma lo tengo
per me
il giudizio.
Sono stanco
nonostante
sia stato senza
fare una sega,
sono stanco
di voler
disegnare
il mondo
di una poesia
che quando
la rileggo
non la intendo
nemmeno io,
sono stanco
delle cose
complicate,
che sei lauree
non bastano
a decifrarle
seppur scritte
da analfabeti
inconsapevoli.
Per questo
mi piego,
trovo così
la posizione
di distacco
da verbi
avverbi
e proposizioni,
da articoli
determinativi
e da quelli che
non determinano
un cazzo.
Che seminano
terrore
nei cuori
fragili.
Mi piego
e così resto.
Nel frattempo
mi rileggo
e dico ancora
“Ma cosa
ho scritto?”
nonostante
pensi
d’aver scritto
davvero
qualcosa
che solo io
capisco.
Per questo
pur meritando
una cena
luculliana
muoio di fame.