Ogni tanto ti dedicherò un piccolo pensiero.

Ogni tanto ti dedicherò un piccolo pensiero.

Lo farò quando mi sentirò felice oppure nei momenti più bui, quelli in cui mi va di fermare il tempo della normalità fatta di lavoro e di gente.

Sarà un pensiero breve, senza alcuna pretesa se non quello di dire che ci sei, come tutti coloro che hanno fatto parte della vita di una persona e saranno per sempre vicini.

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Da stasera c’è anche la Grazia lì con te.

Beato te, fa delle lasagne che probabilmente, quando le assaggeranno gli angeli, suoneranno le trombe del Paradiso. E mancheranno a tutti noi.

Grazia era una donna buona, gentile, sagace, sapeva apprezzare l’allegria e ne faceva parte. Misurata, mi è sempre piaciuta nei suoi modi di fare, ma apprezzavo anche e soprattutto le sue idee sulla gente e sul mondo. Amava la vita senza esagerazioni cercando sempre di gustare appieno anche le più piccole soddisfazioni.

Lo so che vi volevate bene, quando eravate qui, quindi posso dire che una cosa positiva c’è in tutto questo: vi potrete frequentare senza limiti di tempo.

Ti confesso una cosa (che tanto sai già, leggendomi il pensiero): il legame di sangue è forte nel mio concetto di vita e di coloro che hanno fatto parte del mio tempo sono sempre di più quelli che sono lì con te. Immagino quello che potreste fare e posso solo raccomandarmi di non fare incazzare il Capo.

Cosa inevitabile quando ci saremo tutti.

Abbraccia la Grazia da parte mia, che qui non ho fatto in tempo.

Campionato del mondo.

Platea e galleria piene.

Io sono al centro della prima fila, davanti al palcoscenico e mi diverto a guardare Sandro emozionatissimo. Mi verrebbe da salire, andare da lui e dirgli di stare calmo che secondo me lui vince. Non posso, essendo l’organizzatore. Vladic è di fronte a lui e, rispetto a me, è sulla sinistra. I due sfidanti sono seduti l’uno di fronte all’altro su delle semplici sedie in paglia. Sandro non dimostra affatto i suoi 37 anni, ma anche Vladic porta benissimo i suoi 49 anni.

Stiamo tutti aspettando il responso dei giudici e l’emozione scorre in tutto il teatro.

Guardo l’orologio, me lo ha regalato la mia piccola nonostante sapesse che non li porto nemmeno pagato. Certi regali però non possiamo mai non accettarli. Sono le 22,30.

Dopo la nomina del campione del mondo anno 2024, ci sarà una festa e quindi a letto tardissimo, stanotte.

L’attesa si fa lunga e lo posso capire, non è facile come scelta, ma mi lascia il tempo di pensare. Con facilità torno a quando un annetto fa lessi una notizia che mi fece riflettere.

Riportava tutta la gioia possibile per un campionato del mondo di boxe femminile.

Il mio rapporto con quella attività che non riesco proprio a chiamare sport è di profondo distacco, non ho mai potuto credere che ci fosse positività nel tirarsi legnate terrificanti fino ad arrivare a ammazzarsi. Chiaramente avevo tutti contro e alla fine non mi restava che una speranza: le donne, che per istinto credevo così lontane da questo tipo di gare. Invece eccoti la campionessa del mondo italiana, orgoglio della nazione. Una grinta impressionante, colpi che mi avrebbero staccato la testa, una esaltazione al limite della trascendenza.

Poveri noi,sembrava che non potessi che pensare questo. Invece no, ho pensato altro, ho pensato a quello che mi ha portato qui.

Oh, ecco il presidente della giuria con la busta contenente il nome del vincitore.

Saluta tutti e ringrazia i presenti, i partecipanti, gli organizzatori (ricambio il grazie), i finalisti.

Prima parla di Sandro, finalista italiano, della sua presenza a Kherson, in Ucraina.

Poi di Vladic, finalista serbo, e della sua presenza in Turchia per il terremoto.

Alla fine prende la busta, la apre e, dopo qualche secondo di suspance, dice il nome:

Vladic!

Campione del mondo di abbracci, anno 2024.

Applaudo un po’ dispiaciuto per Sandro e questo tradisce una preferenza che per principio non dovrei avere. Prometto di migliorare. Devo ammettere che il duro lavoro fatto tra le rovine di più città turche e la trasmissione di speranza che Vladic regalava con i suoi abbracci (senza che sapesse di essere osservato) era una cosa meravigliosa.

Sandro mi saluta da lontano, inarca le sopracciglia come riconoscimento della sconfitta. Poi vedo i due abbracciarsi.

Un abbraccio da campioni del mondo. Un abbraccio che fa bene al mondo.

Preghiera (stavolta la parola me la sono data da solo)

C‘era una punta di vergogna nel tono disperato che Alexis aveva usato per chiedere quella grazia, se ne era quasi pentito, ma sentiva che tanto era una richiesta fatta certo al niente.

Seduto sulla panchina di quel parco sgangherato, aveva il cuore a pezzi e aveva smesso di pensare. Era da tempo la sua difesa migliore in situazioni del genere, nello stesso momento sentiva che quella fragile fortezza sarebbe presto crollata di fronte ai colpi potenti che le arrivavano dal mondo. Gli era quasi venuta naturale quella richiesta al dioqualunquefosse di aiutarlo. Fai come ti pare, ma fallo, pensò.

Il dioqualunquefosse lo stava osservando a sua insaputa, il dioqualunquefosse era tutti e nessuno e era vicino a nessuno e a tutti. Lui compreso. Aveva ascoltato la sua preghiera come miliardi di altre preghiere, ma stavolta era rimasto incuriosito dall’idea della stessa.

Il dioqualunquefosse aveva deciso di accontentarlo anche perché ciò che sarebbe accaduto non era detto fosse per forza una cosa positiva per il richiedente. Proprio questo aveva spinto il dioqualunquefosse a esaudire il suo desiderio.

Il dioqualunquefosse prese tra le sue due mani la scatola del destino e cominciò a agitarla. Forte, sempre più forte. Si accorse che la cosa gli dava piacere, questo stravolgere il presente e il futuro degli individui lo divertiva senza limiti. Per un bel pezzo rimase ad agitare quella scatola fino a che non sentì il fastidio della prima stanchezza. Ripose la scatola del destino e se ne andò.

Quando dopo un incredibile sballottamento, Alexis tornò a essere fermo, la prima cosa che fece fu toccarsi per capire se era ancora vivo. Quando comprese che godeva ancora di buona salute si tranquillizzò. Una serenità che durò pochissimo. C’era qualcosa che non andava. La sua stessa pelle non andava: era un… po’ troppo scura. Ma non c’era uno specchio, non c’era neppure una stanza e men che meno una casa. Era in mezzo a una pianura sconfinata e arida, solo. Si riguardò le braccia, le gambe, il torace. Erano nere. Nerissime. Coperte da vestiti luridi e stracciati. Alexis cominciò a sentirsi male.

Il dioqualunquefosse lo osservava, era curioso di vedere cosa sarebbe successo da quel momento. Quel rimescolare i destini delle persone aveva dato possibilità migliori ad alcuni e riservato il peggio a altri. Grande l’idea di Alexis, mescola il destino e cambia quello che mi hai riservato aveva detto. Appunto, detto e fatto. Il dioqualunquefosse lo aveva accontentato seppure col senno di poi forse Alexis avrebbe preferito affrontare la faccenda in maniera diversa. Non sempre le strade più difficili sono le peggiori, ma era troppo tardi, non era più possibile tornare indietro.

Alexis si guardò attorno cercando qualcosa da mangiare in quella savana inospitale.

Sentì il morso della fame.

Solo

Ho fatto il corso di astronomia e un po’ mi torna utile. Non fosse che studiare alla mia età ti garantisce di ricordarti il 30 per cento di quello che impari.

Osservo i monitor, grandi e anche colorati se vi fosse inquadrato qualcosa di colorato. Invece c’è solo una macchia buia traforata da piccoli punti di luce.

Le stelle.

Tante e chissà se piene di vita.

Ma chi se ne importa, tanto non avrò abbastanza tempo per scoprirlo.

Mi guardo attorno, le vasche di ibernazione sono tutte chiuse con il loro contenuto umano e auguro loro di aver possibilità di poter comprendere ogni mistero di questo universo.

Ho fatto come in quel film dove in una astronave colonizzatrice per il difetto di un dispositivo si sveglia un uomo cento anni prima dell’arrivo alla meta.

Solo che il mio non è stato un errore, ma una scelta.

Era giunto il momento di restare solo, assolutamente solo.

Sono sei mesi che vivo tra scorte sufficienti per due vite e il silenzio del vuoto astrale. Non sono più riconoscibile nemmeno per i parenti più stretti. Perché oltre a essere solo, ho deciso di smettere di fare qualsiasi cosa a parte masticare e andare in bagno.

Ero stanco di quel trascorrere i giorni su un pianeta fatto di bellezza e di esistenze condizionate. Quanto male. Troppo, insopportabile, incomprensibile, inevitabile.

Quando hanno proposto il progetto di colonizzare il quarto pianeta di un altro sistema solare ho accettato senza alcun dubbio. Avevo già deciso cosa fare e un tecnico accondiscendente (e pagato) mi aiutò a provocare l’apertura della mia vasca d’ibernazione poco dopo la partenza.

Ricoperto di barba lunga e capelli ancor più lunghi, adesso sono seduto sulla poltrona al centro della semisfera che in realta è uno schermo circolare su cui viene proiettata l’immagine esterna dello spazio visibile.

Mi riconcilio con l’universo.

E sto bene.

Chris e Rocky

Seduto sulla panchina, guardava Rocky giocare con la palla di pezza, ormai tutta sbrindellata. Un bastardino dal pelo rosso, marrone, nero e bianco, così colorato da far immaginare da quante razze potesse discendere e sembrava aver preso da ognuna il meglio.

Dolce, fidelizzato, affettuoso, allegro e giocoso.

Coraggioso.

Chris e Rocky erano diventati amici da poco tempo, ma compresero subito, entrambi, che erano fatti per stare l’uno con l’altro, che qualcosa di divino li aveva messi in contatto. Le carezze, le attenzioni erano dispensate in pari quantità tra i due e alla fine si era stabilito un rapporto molto stretto.

Chris, ancora seduto sulla panchina, chiamò Rocky a sé e il cane non se lo fece dire due volte avvicinandosi al suo amico umano.

“Sai una cosa?” gli domandò Chris senza aspettare una risposta che non sarebbe mai arrivata.

“Ormai non sento più un alito di bellezza o di gioia, ma solo l’opprimente dolore che mi e ci circonda. Un malessere che sta cancellando tutto il bello di cui potrei nutrirmi e vivere sereno.

Vorrei dire meno male che ci sei, ma non riesco. Posso solo affermare che prenderò quello che mi verrà concesso. Ricordi Marina? Certo che la ricordi, anche tu sapevi misurare il suo amore per la vita. E Jury? Ti domandi dove sarà, vero? Lo capisco dal tuo scodinzolare appena ne faccio il nome. Uffa… mi sento soffocare, Rocky… e tu come va?”

Il cane con tutti i suoi 22 chilogrammi si gettò sulle gambe di Chris. Abbaiò, e abbaiò. Lingua di fuori e pelo irto. Stava dicendogli che stava bene.

Chris pensò che avrebbe voluto essere come lui, incapace di comprendere la situazione e di vivere in un mondo che gentile gli aveva fatto incontrare un grande amico.

Chris sorrise di un sorriso amaro e tornò a guardare in aria. Non vedeva niente, ma ormai aveva deciso di non pensare altro che a Rocky.

Chris non sapeva, anche se poteva immaginare, del drone che lo aveva individuato e ingoiato nelle sue telecamere. Un piccolo oggetto volante costruito per spettacolarizzare la morte con missili intelligenti e infallibili.

Chris si alzò dalla panchina, si avvicinò a Rocky e lo abbracciò. Sentì anche il leggero fischio di un qualcosa che fendeva rapido l’aria. Col suo cane, scattò rapido verso un portone per ripararsi, ma non fece in tempo o almeno non del tutto. L’esplosione non distrusse più di quanto era già distrutto, ma ferì Chris e Rocky.

La morte però decise di divertirsi un po’ e lasciò vivere ancora i due amici. Feriti, ma vivi.

“Ci vediamo presto”, disse la Signora in nero.

Nel frattempo un colpo di fucile abbatté il drone

il bacio del giorno dopo


Il tuo bacio mi fa ricco,
posso permettermi il mondo
e viverlo in ogni suo angolo.
Non v’è spiaggia o pista innevata
sconosciute ai miei occhi,
non vi è città che le tue labbra
non mi ha fatto visitare.
Il tuo bacio è la mia droga
e godo ciò che desidero.
Il tuo bacio di oggi
è quello del giorno dopo
quando sembra che niente
sia più da festeggiare,
si fa simbolo dei pensieri errati
e segna la resa del mio genere.

Poesia di non amore

Chiederò la tua mano

in un giorno privo di vento,

le mie parole saranno

incorniciate dal canto d’uccelli

e tu mi dirai di no.

È una poesia di non amore, questa,

triste come sarà il mio sguardo

alla tua sincera risposta,

ma sarò pronto al mio dolore.

Traduzione di emozione dove l’uno

resta tale se privo dell’altro.

La quercia del tempo trascorso

scrive sulle foglie sempreverdi

il segreto per sopravvivere

alla tua assenza.

Mi salverà soltanto il leggerlo.