Picchiava capocciate mostruose nei pali delle fermate dell’autobus.
Inciampava di continuo battendo musate terrificanti sull’asfalto.
Non ci vedeva una pippa, ma non voleva gli occhiali.
Oh, non c’era verso convincerlo.
Non li avrebbe mai messi se non che, dopo essere caduto in un tombino aperto per un cantiere delle fogne pubbliche, fratturandosi 27 ossa del suo sciagurato scheletro, sua moglie gli disse:
“Tu se’ proprio un deficiente. Ti lascio e torno con Rocco.”
“Non lo fare, ti prego. Metterò le lenti.”
Aspettò tre mesi, il tempo di potersi spostare sulle proprie gambe, ed andò dall’ottico.
Si fece misurare la vista e preparare gli occhiali.
“Io non li vorrei…” confessò all’ottico.
“Sta parlando col portaombrelli.” Gli rispose questi.
Si convinse.
Se li mise ed ebbe l’illuminazione. Non divina, ma materiale.
In un sole vivido vide la sua città, brutta da fare schifo con palazzoni alti venti piani, tutti scalcinati.
Per terra un sudiciume impressionante, sacchetti di plastica pieni di spazzatura sbracati per le strade.
Ma soprattutto rivide sua moglie. Ormai s’era dimenticato come fosse e stava meglio. Ora, insisti che insisti, voluto gli occhiali? Eccola lì! Un mostro! Un troiaio di femmina, sempre che si possa definire tale.
Non guardarla significava poterci stare insieme ma ora… ora…
“Ma vaffanculo te, Rocco e questo mondo di cacca!!!” e scaraventando lontano le lenti s’incamminò barcollante.
Dopo molte ore raggiunse sua madre.
Almeno pensava fosse lei.