Occhiali

Picchiava capocciate mostruose nei pali delle fermate dell’autobus.

Inciampava di continuo battendo musate terrificanti sull’asfalto.

Non ci vedeva una pippa, ma non voleva gli occhiali.

Oh, non c’era verso convincerlo.

Non li avrebbe mai messi se non che, dopo essere caduto in un tombino aperto per un cantiere delle fogne pubbliche, fratturandosi 27 ossa del suo sciagurato scheletro, sua moglie gli disse:

“Tu se’ proprio un deficiente. Ti lascio e torno con Rocco.”

“Non lo fare, ti prego. Metterò le lenti.”

Aspettò tre mesi, il tempo di potersi spostare sulle proprie gambe, ed andò dall’ottico.

Si fece misurare la vista e preparare gli occhiali.

“Io non li vorrei…” confessò all’ottico.

“Sta parlando col portaombrelli.” Gli rispose questi.

Si convinse.

Se li mise ed ebbe l’illuminazione. Non divina, ma materiale.

In un sole vivido vide la sua città, brutta da fare schifo con  palazzoni alti venti piani, tutti scalcinati.

Per terra un sudiciume impressionante, sacchetti di plastica pieni di spazzatura sbracati per le strade.

Ma soprattutto rivide sua moglie. Ormai s’era dimenticato come fosse e stava meglio. Ora, insisti che insisti, voluto gli occhiali? Eccola lì! Un mostro! Un troiaio di femmina, sempre che si possa definire tale.

Non guardarla significava poterci stare insieme ma ora… ora…

“Ma vaffanculo te, Rocco e questo mondo di cacca!!!” e scaraventando lontano le lenti s’incamminò barcollante.

Dopo molte ore raggiunse sua madre.

Almeno pensava fosse lei.

Verso il basso

Mi inclino verso il basso.

Sto perdendo in altezza e non so come impedirlo.

Ho fatto piscina e atletica leggera, ma si vede che era troppo leggera.

Perché continuo a piegarmi.

Verso il basso.

Ormai l’angolo delle gambe con la mia schiena è acuto, come il mio dolore.

Ho comprato una spalliera, sembrava funzionasse ma appena ho lasciato la presa, sdeng!, la mia schiena come un elastico si è piegata in avanti e poco è mancato battessi una musata sulle piastrelle in monocottura.

Andavo a lavorare in auto e fin qui tutto a posto, l’angolo del sedile rispecchiava l’inclinazione della mia schiena. Poi appena sceso, il mio corpo mostrava le sue problematiche ed io non riuscivo più a vedere davanti.

Vedevo solo per terra.

Mi hanno licenziato e quando mi hanno dato la lettera di fine rapporto ho visto solo le scarpe di chi mi ha recapitato il benservito.

Gli ho detto grazie lo stesso e lo sconosciuto mi ha fatto una carezza sulla testa.

Nel mentre lo faceva gli avrei volentieri spaccato il muso, ma come avrei potuto fare?

E’ da una settimana che sono a casa.

Visto la posizione, parlo solo con il gatto, il cane e alcuni scarafaggi.

Mi guardano come fossi scemo.

“Sono piegato!!!” gli ho urlato.

Non è facile vivere piegato.

Sono andato in banca a prendere un po’ di soldi e per arrivare alla cassa mi hanno fatto salire su una sedia; in autobus non pago più il biglietto perché non supero il metro ma picchio dappertutto perché non riesco ad arrivare alle maniglie di sostegno.

A parte questo, non so più cosa accade sopra il metro e venti, ma so tutto di ciò che accade sotto.

Sembra possa essere interessante, ma non lo è.

Non capita niente, né di poetico, né di materiale.

Niente.

Solo animali e polvere e mi faccio due palle così.

Inesorabile, la mia testa si sta avvicinando ai piedi e i miei genitori hanno chiesto il preventivo per una bara lunga un metro a esagerare.

Piango ma nessuno se ne accorge, solo delle blatte che si avvicinano per farsi una doccia.

 

Vorrei tornare eretto a guardare il mondo, bello o brutto che fosse mi manca da morire.

Mestieri

Mestieri.
Quanti ne ho fatti!
Iniziai a un anno e mezzo come portatore di secchiello al mare per una di sei mesi più grande di me. Per tre estati mi sono fatto un mazzo tale che m’erano venute delle braccia che sembravo un muratore appena andato in pensione. Poi lei conobbe uno di cinque anni con una ruspa a motore elettrico e mi mise in un angolo. A parte la delusione amorosa l’unica cosa che ho capito è che non mi aveva pagato la manodopera. Da allora sono cambiate le cose. A sette anni presi la prima paghetta. Non quella dei miei genitori, quella mi sembrava di rubarla, me la davano senza far niente. No, parlavo di quella che mi dava un certo Carmelo perché portassi dei bigliettini a uno che non ho mai saputo come si chiamava. Mi garbava un monte farlo, correvo veloce come il vento e in poco tempo prendevo due o tremila lire! Poi un giorno sono arrivate delle macchine con la sirena come quelle che mi regalava il babbo a Natale e si portarono via Carmelo. Boh, mi dissi. A dieci anni mi misi a cucire palloni. I grandi non erano buoni a farlo e allora ci davano il lavoro a noi bimbetti con le manine piccine. Che fortuna! A tredici anni m’hanno portato dall’ortopedico, perché la manine son piccine ma le si piegano facile facile. M’hanno tenuto ingessato per otto mesi. Senza far nulla!!! Che scatole! A quindici anni sono andato tra la Natura. Che bello! Raccoglievo pomodori 15 ore al giorno per non so quale Corona e sebbene mi si schiantasse la schiena e mi dessero duemila lire l’ora era così bello unire i piedi alla terra. Ti fa sentire vero. E d’inverno a raccogliere arance, mi davano meno, mille l’ora, ma che bel colore avevano quei frutti. Ma mi sbagliavo pensando che la Natura fosse l’unico posto dove fosse bello lavorare. A diciott’anni, visto che lo studio non era proprio per me, entrai in fabbrica. Apprendista, mi facevano fare turni di dodici ore per imparare prima. Che brava gente erano quegli imprenditori. Dovevo avvitare un bullone attorno a una vite. Per farlo veloce ci volle molto tempo, ma ebbero molta pazienza con me. Finiti i tre anni di apprendistato non mi passarono operaio. Avevano ragione, dissero che ero giovane e dovevo imparare altri lavori, prima di perdere l’opportunità di fare ancora apprendistato. Cosa che feci in una falegnameria. Dove per dieci ore al giorno per tre anni avvitai l’infisso A all’infisso B. A venticinque anni mi consigliarono un lavoro più elaborato e di responsabilità. Un lavaggio auto a poca distanza da casa, una cinquantina di chilometri, rendeva felici i suoi clienti lavando a mano carrozzerie bellissime. Primavere, estati, autunni e soprattutto durante inverni gelidi insaponavo Fiat Punto e Jaguar Xe a vecchi rimbambiti e a quattrinai con la puzza sotto al naso. Per 500 lire a auto. Poi arrivò l’euro e presi 25 centesimi a auto. Per otto anni. Poi la fortuna dimostrò di essermi ancora vicina e per quindici anni e per quindici ore al giorno ho fatto l’allupino in una filatura a cardato. Mi garbava una cifra smassare colli di 5 quintali di lana e ungerli con olio più grasso d’un maiale che per levarmelo dai vestiti ci mettevo più d’una settimana a strigliare forte. Un po’ faticoso e in effetti come dar torto ai miei padroni se m’hanno licenziato quando son dovuto stare a casa tre giorni per sei ernie contemporaneamente sulla colonna ormai invertebrata? Mi mancavano solo due anni alla pensione e pensai che non ci sarei mai arrivato. Ma ancora una volta, mi vergogno quasi a dirlo, la fortuna ebbe un occhio particolare per me e per due anni lavorai come giardiniere in una villa: in primavera tagliavo l’erba, in estate annaffiavo i vasi, in autunno spazzavo le foglie, in inverno tagliavo la legna. Senza paga se non pagare io quello che rompevo. Ma bello bello!!!
Ora sono in pensione. Quella minima, giustamente, visto che di contributi non me ne hanno pagato uno che fosse uno.
Che scatole…